La transumanza è una pratica documentata sul finire dell’800, quando tale forma di allevamento comincia a prevalere sulla pastorizia nomade. Nasce dall’esigenza di spostarsi per garantire pascoli migliori alle greggi. Diffusa in tutto il Mediterraneo, si distingue in “verticale o alpina” da quella “orizzontale”, che sfrutta pascoli situati anche a grande distanza. In Italia ha caratterizzato soprattutto le regioni del centro con gli spostamenti dall’Abruzzo alla Puglia di migliaia di capi lungo i tratturi.
In Aspromonte, per la vicinanza del mare alla montagna, si tratta quasi sempre di una transumanza limitata, poiché la distanza generalmente può essere coperta nel corso di una giornata di cammino.
Nel 2019 la transumanza è stata inserita dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale.
Ho cercato di documentare tale pratica prima che scomparisse ma non è stato semplice. Nel 2006, grazie alla disponibilità di Vincenzo Romeo du croccu, in una infuocata giornata di maggio, lo abbiamo seguito da Malderiti (periferia di Reggio Calabria) a Santa Trada (Roccaforte del Greco).
Il gregge era composto da circa cento capi, in gran parte pecore dalle quali una decina di capre si tenevano altezzosamente distaccate. E 5 o 6 cani da pastore. Numero non ben definito dato che ne perdemmo alcuni per strada, ma senza che il pastore se ne curasse troppo. A supporto un giovane asiatico. Al seguito io, Lillo Gioffrè e Sabrina Falcomatà. Marco, figlio del pastore e la moglie con un automezzo che trasportava le masserizie. Appuntamento quando è ancora buio. Assistiamo alla mungitura e alle prime luci dell’alba si parte. Il percorso nel tratto prossimo alla città si snoda tra fiumare/discariche, condomini, strada asfaltate. Dopo i pianori di Gallina superiamo Puzzi e Armo giungendo ai pedi di monte San Demetrio che conquistiamo, dopo ben 600 m di salita, tagliando, ove possibile, gli infiniti tornanti della strada. Il caldo è insopportabile, soprattutto per le pecore non tosate. Infine, ai campi di Santa Venere, intorno ai 1000 m. di quota, tra castagneti e pinete giunge un po’ di refrigerio. Ma ci rinfranchiamo ancor di più grazie agli abitanti delle case rurali che incontriamo. Il passaggio delle greggi era un appuntamento che si ripeteva negli anni e ci offrono da bere e da mangiare.
Giungiamo all’incrocio con la SS 183 Melito-Bagaladi-Gambarie e ne percorriamo un breve tratto in salita sino alla località Ritorno. Finalmente iniziano boschi, sentieri, ruscelli ma proprio qui, per una caduta stupida (ma vi sono cadute intelligenti?), mi ferisco alla mano. In quel frangente non abbiamo nemmeno la dotazione di pronto soccorso lasciata, altra stupidaggine, nell’auto ora lontana. Mi fascio come posso e si va. Ai piani di Cufalo il gregge riconosce i luoghi e accelera il passo. Noi invece siamo provati e ormai quasi all’imbrunire guadagniamo il casello di Croce Melia a 1.201 m slm, che sancisce la fine della transumanza.
Ma la giornata per me non è terminata. Rientrati a Reggio Lillo mi lascia alla guardia medica che però, impossibilitata a intervenire per la profondità dello squarcio, mi manda al Pronto Soccorso dell’Ospedale. Mia moglie, medico, ma in quella notte anche lei di guardia, non mi può accompagnare. Chiamo l‘amico Francesco e mi faccio portare al P.S. dove, dopo radiografie e visite varie, mi danno una quindicina di punti. E con questo ulteriore ricordo della transumanza a notte fonda torno, finalmente, a casa.
Sull’argomento la letteratura è ampia. Un mio articolo è in https://www.laltroaspromonte.it/portfolio-articoli/la-transumanza-nelle-pratiche-silvo-pastorali-due-percorsi-in-aspromonte/?fbclid=IwAR0hTZgoodOcYBwlQ9BJ6bhrhHI8e6bY9i71KZ7Dq3HTSwU3r0NdZqG8lXg e una gustosa intervista al pastore Vicenzu du croccu è in https://www.youtube.com/watch?v=MCPO35FxFVo&t=8s
È colpa dell’amico Pietro Garofalo se mi ha coinvolto in una sua curiosità: percorrere il Serro Castello. In realtà non ci è voluto molto. L’area, a sud dei Campi di Bova, è tra quelle meno percorse dagli escursionisti. Il toponimo, ricorrente in Aspromonte, è indicativo di una emergenza rocciosa e già l’esame della cartografia evidenzia un affilato crinale che si protende come un trampolino puntando alla confluenza degli impluvi Marte e Cipore con la fiumara Palizzi.
Imbocchiamo una sterrata di certo realizzata dalla forestale qualche decennio fa per impiantare alcuni rimboschimenti dei quali restano sparuti boschetti di pino e di robinia. Come era prevedibile dopo pochi tornanti il tracciato è corroso dalle frane ma le piste delle vacche, che aprono un varco nella fitta vegetazione, ci conducono al Serro Castello. Il percorso è disagevole, tormentato. Dove si fermano le vacche proseguono le capre e infine i cinghiali e noi ne seguiamo le tracce. O cerchiamo di tenerci sulla cresta rocciosa dove più radi sono rovi e spolassi (Spartium infesta). Siamo consapevoli che non vi è una meta. I sentieri, le antiche vie sono scomparsi, fagocitati da una natura tornata padrona degli spazi che l’uomo gli aveva tolto. Più volte stiamo per rinunciare ma, ad ogni pinnacolo che raggiungiamo, ci facciamo attrarre dal successivo.
Nel cielo una coppia di rapaci sale sempre più in alto grazie a una termica mentre noi scendiamo sempre più giù perdendo quota e ignorando scientemente che la salita, il ritorno al punto di partenza sarà durissimo. Sino all’ultimo puntone, il più prossimo al fondo della valle comunque irraggiungibile. In una scalata al contrario, dove si scende per conquistare la meta.
Conquistatori dell’inutile, grati alla montagna che ci consente la nobiltà di gesti gratuiti e appaganti come misurarsi con sé stessi e con la grandezza della natura.