Fino a qualche decennio fa, ai piedi di Pietra Cappa, era probabile l’incontro con Bastiano Codespoti di Natile, pastore il cui ovile era sotto le rocce di San Pietro. Suonatore di zampogna e di doppio flauto di canna che costruiva da sé, strumento discendente da quelli raffigurati sugli antichi vasi greci e chiamato sulavri. Abile nell’intaglio del legno, costruiva e spesso regalava cucchiai e forchette.
Un personaggio ieratico del quale parlammo, io e Francesco Bevilacqua, nella nostra guida dell’Aspromonte del 1999 GUIDA ASPROMONTE
Mite, affabile ci raccontava di re e di regine, di fate e di cavalieri, nascosti nelle torri di roccia che sbucavano nella fitta lecceta tra San Luca e Careri, quella che poi battezzammo la vallata delle Grandi Pietre.
È rimasta proverbiale l’abilità di Bastiano nello scalare Pietra Cappa suonando la zampogna e portandosi appresso perfino il gregge.
Diventammo amici tanto che un giorno lo incontrai, al casello di San Giorgio di Pietra Cappa, e mi disse che a breve avrebbe sposato la figlia. Io lo ascoltai e quando si congedò, con la stretta di mano, pronunciò la parola “ ’mbitatu ”.  Non capii ma gli operai forestali che erano al casello mi spiegarono  che ero stato invitato al matrimonio!
Simpatico anche per l’ospitalità “organizzata”: incontrandolo in montagna al seguito del gregge, con l’immancabile giacca poggiata sulle spalle, mi offriva una birra (d’estate) o un caffè corretto con anice (d’inverno) tirati fuori dalle maniche della giacca annodate in fondo e trasformata in dispensa, in bar ambulante.
Di questa consuetudine tra i pastori scrive Corrado Alvaro in “L’età breve”. “Una volta mio padre mi mandò uno dei nostri contadini a portarmi certa roba. Il contadino aveva una sua bisaccia; no, che dico? Aveva le provviste di viaggio messe nella manica della giacca, la giacca la portava sulla spalla, la manica era legata in fondo, faceva come un sacco. Io ero stanco di quelle pappe che ci davano, e ficcai la mano in quella riserva, e trovai un pezzo di salsiccia, un bel pezzo di pane di grano, formaggio, frutta, e mi misi a mangiare avidamente.”
Camminate, gente, camminate! Anche se non si incontra più Bastiano Codespoti, il suo spirito aleggia nella vallata delle Grandi Pietre accompagnandosi a re, regine, fate e cavalieri.

APPROFONDIMENTI
Sebastiano Codespoti nasce a Natile di Careri il 13/12/1933 e muore il 25/03/2014, ne ha scritto Francesco Bevilacqua in “Le fantasticherie del camminatore errante” e un mio articolo è apparso sulla RIVISTA DEL TREKKING
Il Parco ha ricostruito l’antico ovile, inclusa la cosiddetta “casetta” ma senza alcuna attinenza con I canoni tradizionali. Così come irrispettoso del luogo è il TOTEM realizzato dal Parco di fronte all’asceterio di S Pietro.

Febbraio del 1995, escursione sul versante sinistro della fiumara Amendolea, località Mesari (Bova). Fotografo degli uomini in fila che zappano una vigna in un terreno mirabilmente terrazzato. Chiedo cosa fanno e mi dicono “apostrofì”. Conosco così un termine greco composto dal prefisso “apo” che indica contro e “strofè” derivato dal verbo “strefo”, che significa girare, tornare. Analogamente il segno ortografico dell’apostrofo ha la forma di uno spirito aspro dei Greci rovesciato, al contrario.
Apostrofì, detto anche stremma,  nel mondo contadino acquista il significato di “restituzione”: in certi periodi dell’anno, del raccolto, per esempio, o del dissodare i campi, particolarmente gravosi e da svolgere in tempi rapidi, o dove è indispensabile il lavoro manuale per l’impossibilità di usare mezzi meccanici si sviluppa una forma di collaborazione che prevede la restituzione della prestazione: essendo il problema comune, chi per primo presta il suo aiuto sa che a breve si vedrà ricambiato il favore. Per questo si chiama apostrofí, restituzione. A carico del padrone del terreno è il pranzo per i lavoratori.
Negli anni ho continuato a fotografare il podere di Antonino Trapani detto Schiriddi che già nel 1995 avevo diviso il vigneto ai tre figli. La sequenza temporale delle immagini racconta purtroppo il suo abbandono. L’apostrofì non è bastato.

Postilla storica.
Anzitutto l’etimologia di Mesari che potrebbe derivare dal greco mèsa = in mezzo, divisione. Infatti, questa località, essendo terra di confine tra Bova e Amendolea, è stata sempre contesa tra feudatari sin dal 1084. All’inizio del XVIII secolo riappare in una causa giudiziaria tra il conte di Bova e il barone di Amendolea e nella descrizione dei confini viene menzionata la “Portella di Mesari”. Il fondo apparteneva alla nobile famiglia Amodei, poi nel 1954 passò alla famiglia Romeo che lo rivendette ai due fratelli Domenico e Antonino Trapani (Miki Lu bruttu e Ninu schiriddi), attuali proprietari.
Ancora oggi possiamo dire che è diviso in una parte alta chiamata l’orto e in una parte bassa chiamata la podagna. Sia nell’una che nell’altra è presente una sorgente, con relativa vasca per irrigazione. La coltura principale era il granturco, seguito da fagioli e ortaggi vari. Essendo in montagna tutti i prodotti erano posterini (tardivi) pertanto la maturazione iniziava a fine estate-inizio autunno quando ormai nelle marine la produzione era terminata. Il granturco forniva farina per la polenta, mangime per gli animali e “scarfoghj”, le foglie della pannocchia per imbottitura dei materassi.

Ringrazio per le informazioni Mimmo Cuppari, Salvino Nucera e Vincenzo Mastrovalerio. Alcune notizie sono tratte da “Le origini di Bova e del suo nome” di A. Catanea–Alati 1969

Per approfondimenti sui toponimi dell’area consultate la mappa
https://www.laltroaspromonte.it/cartografia/mappe/#toponimi-dellarea-grecanica