Frequento l’Aspromonte da diverso tempo e questo, unitamente alle immagini che ho scattato, mi consente di osservare come sono mutate alcune aree.
Nel caso che espongo sono stati gli alberi, piantati dall’uomo, a cancellare un ambiente.
Si tratta di quella che, sino agli anni ’80, era la radura di Cannavi, alle pendici sud del monte omonimo, tra i comuni di Delianuova e San Luca. Attraversata da una stradina asfaltata, ai tempi una pista sterrata, che da Montalto segue il versante sinistro della vallata del Bonamico.
L’improvvida decisione delle autorità forestali dell’epoca fu di piantare alberi. In una radura in leggero declivio, senza nessun problema di dissesto o di erosione. Probabilmente la facile accessibilità, la necessità di occupare la manodopera e di utilizzare il materiale vivaistico disponibile furono motivi sufficienti.
È stato così cancellato un importante elemento naturale del mosaico di ambienti che compone il paesaggio montano. Un paesaggio che è tanto più pregevole tanto più presenta ambienti diversi, con alternanza di boschi e radure, di pieni e di vuoti.
La radura inoltre, rispetto al sottobosco, forma un ecosistema profondamente diverso, risultando fondamentale per gli animali erbivori che lo usano abitualmente come superficie da pascolo (per esempio i tassi, le lepri, i caprioli). O per le farfalle dato che nelle radure si sviluppano un gran numero di piante erbacee delle quali si nutrono questi insetti. Insomma la varietà di ambienti contribuisce ad avere un elevato livello di biodiversità.
Radure, conche che un nostro autorevole geografo come Luigi Lacquaniti interpretò come tracce glaciali quaternarie, “circhi glaciali dalla forma classica a scodella aperta, limitata a monte, da pareti abrupte, con fianchi che, lateralmente, si raddolciscono, raccordandosi in curva sul fondo. In basso le cavità sono accompagnate da una barra rocciosa, ricoperta parzialmente da cordoni morenici. Il fondo che è ricoperto, maggiormente verso la barra, da uno strato di terra vegetale mescolato a frammenti rocciosi a spigoli netti, si presenta appena inciso da un solco di raccolta delle acque di pioggia o di fondita delle nevi, senza che ne sia modificato il caratteristico profilo glaciale.” (1)
Nei pressi la località denominata col termine dialettale “La squella” (o squeda) indica la scodella e in particolare una vasca circolare e incavata usata nel frantoio.
Tutto ciò è stato cancellato, con l’aggravio che non abbiamo nemmeno un bosco.
Nel tempo quell’impianto artificiale (tale perché realizzato dall’uomo) non è stato poi curato, non sono stati effettuati i necessari diradamenti e sfoltimenti. Ora è una sequela fitta di alberi filati, mal cresciuti, facili a essere schiantati da neve e vento, attraverso i quali non penetra la luce e quindi senza alcun sottobosco, facile preda del fuoco per la vicinanza delle piante.
Né mai il Parco Nazionale dell’Aspromonte si è preso la briga di effettuare degli interventi di restauro ambientale, in questa come in altre aree analoghe. Nonostante nel Piano del Parco, redatto per gli aspetti forestali da eccellenti professionisti e accademici della materia, tali problematiche e le possibili soluzioni siano state indicate.
In conclusione: non sempre piantare alberi è utile.
Le immagini mostrano una sequenza cronologica di Cannavi dal 1988 ad oggi con alcune attuali della vicina radura di Tabaccari, risparmiata dalla frenesia da rimboschimento.
(1) Luigi Lacquaniti, Le tracce glaciali quanternaria e l’antico limite altimetrico delle nevi nell’Aspromonte, Atti della XLII Riunione della Società per il progresso delle scienze, Roma 1951