di Giuseppe Arcidiaco

PREMESSA
Il 9 aprile 1928, con decreto firmato da Mussolini e da Re Vittorio Emanuele III, il regime fascista sopprime lo Scautismo in Italia. Con lo scioglimento dell’A.S.C.I. e delle altre associazioni scout italiane, l’educazione fisica e morale dei giovani è affidata alle autorità fasciste che con l’Opera Balilla ne orientano il pensiero verso gli ideali del partito.

LA RESISTENZA A MILANO E MONZA 
Nel giorno di San Giorgio dello stesso anno, mentre le insegne dei Riparti milanesi vengono simbolicamente deposte sull’altare dell’arcivescovado, gli scout del Milano 2° pronunciano una Promessa che è un atto di ribellione e segna l’inizio dello scautismo clandestino milanese e monzese delle Aquile Randagie.
Una lunga storia di passione e fedeltà all’ideale scout, un’esperienza di resistenza che durerà per tutto il periodo della Giungla Silente fino al 1945, un giorno in più del Fascismo, divenuto il loro motto. Periodo durante il quale gli scout ribelli rischiarono la vita e alcuni la persero per continuare le attività ed i campi, in particolare in Val Codera, facendo sopravvivere il movimento scout in Italia alla dittatura ed alla guerra.
Organizzarono, coinvolgendo sacerdoti, suore e giovani volontari, soccorso a feriti e salvataggio di perseguitati politici e ricercati di diversa nazionalità, etnia e religione, aiutati ad espatriare con documenti falsi in territori neutrali oltre le Alpi. I fondatori del gruppo delle Aquile Randagie furono Giulio Cesare Uccellini (Capo Riparto del Milano 2°) e il sacerdote don Andrea Ghetti, con nomi in codice rispettivamente Kelly e Baden. Dopo il 25 Aprile 1945 si dedicarono alla rinascita dello Scautismo italiano ed a proteggere dalla vendetta fascisti e tedeschi in ritirata.

 

LA RESISTENZA IN ASPROMONTE 
Meno nota è l’avventura dei Lupi d’Aspromonte, probabilmente la più importante esperienza di scautismo clandestino italiano dopo quella delle Aquile Randagie, durata dal 1928 al 1944. Un gruppo di scouts della sezione del Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani (C.N.G.E.I.) di Reggio Calabria rifiutarono l’oppressione del pensiero unico fascista e, tenendo fede ai valori della Promessa e della Legge Scout, decisero di continuare a riunirsi in segreto, grazie all’iniziativa dei capi Pino Romeo (Capo Branco), Cesare Cremisini (Capo Riparto) e Nicola Serini (Lupo Saggio il totem, ovvero nome di caccia, soprannome).
Dopo la chiusura della sede di via Tribunale, individuarono una baracca di legno che aveva ospitato alcune famiglie di terremotati del 1908 sulla spianata di San Prospero, sotto la Collina degli Angeli e, con la complicità del sacerdote dell’Opera Antoniana, don Matteo, vi aprirono la sede del G.S. San Prospero, dove l’acronimo G.S., ufficialmente Gruppo Sportivo, alludeva, invece, a Gruppo Scout. Qui, in particolare il sabato fascista, i giovani (oltre trenta, un Branco ed un Riparto), dedicandosi ufficialmente ad allenamenti ed esercizi ginnici, sperimentavano le tecniche scout (nodi, pionieristica, gioco dello scalpo) e programmavano uscite in tenda. I capi, nelle vesti di istruttori sportivi, tenevano vivo il metodo di Baden Powell, fondatore dello scautismo, che parlava sì di salute e forza fisica (e questo fu di ispirazione per l’addestramento dei Balilla), ma anche di vita all’aperto, libertà, lealtà, fraternità, formazione di uomini onesti e cittadini preparati e responsabili. Due sentinelle presidiavano gli ingressi della sede, pronte a dare l’allarme in caso di ronde della polizia: al loro segnale iniziava la simulazione dell’allenamento con le attrezzature per il salto in alto.
In estate, finalmente in uniforme scout, la resistenza si spostava in Aspromonte: Serra Petrulli (villaggio De Leo), Sureto di Podargoni (località riportata sulle carte IGMI con il toponimo Segreto), Embrisi, Cerasi, Piani di Bosurgi erano alcuni dei luoghi, rigorosamente isolati e difficili da raggiungere, in cui venivano allestiti i campi di pattuglia. Li raggiungevano dopo oltre sette ore di cammino su sentieri ripidi e tortuosi, partendo da Vito, frazione dell’entroterra di Reggio. Gli zaini carichi dello stretto indispensabile: attrezzi da lavoro, corde, lampade a petrolio, borracce e le tende mimetiche Aspromonte. Periodicamente Lupo Saggio faceva visita alle pattuglie, raggiungendole sul posto, per assicurarsi della loro incolumità. Si dedicavano alle costruzioni col legname, allo studio della flora, al riconoscimento di tracce, alle escursioni nei boschi, alla topografia, ai bivacchi.
Ecco un’altra pagina sconosciuta delle nostre montagne, che, per il loro carattere aspro e selvaggio, offrirono riparo alle avventure di questi giovani esploratori clandestini, costretti a vivere nell’ombra, mimetizzando le loro tende con frasche, predisponendo sentinelle e turni di guardia durante le ore notturne, rifornendosi d’acqua alle sorgenti spesso note solo ai locali o ai latitanti.
La partecipazione, in veste non ufficiale, al Quarto Jamboree Mondiale dello Scautismo (Ungheria, 1933) e l’incontro con Baden Powell coronò la resistenza dei Lupi d’Aspromonte.

 

L’ULTIMO DEI LUPI
L’ultimo dei Lupi d’Aspromonte è Oreste Serini (totem Giraffa Bianca) nato il 28 settembre 1929, iscritto al Branco nel 1934 all’età di cinque anni, testimone e memoria storica delle imprese del padre Nicola. Il 30 agosto 2019 Oreste è stato insignito del collare dell’Ordine Scout di San Giorgio, la più alta onorificenza C.N.G.E.I. La cerimonia non poté che tenersi nei boschi dell’Aspromonte, nella base scout di Forge, tutt’oggi meta di campi ed uscite per gruppi scout.
Oreste Serini, fondamentale figura dello scautismo italiano, ha contribuito alla ricostituzione dei gruppi scout reggini dopo il 1945: dapprima negli ambienti cattolici dell’A.G.E. (Associazione Giovani Esploratori d’Italia) e successivamente, negli anni 1947-49 insieme al prof. Raimondo Zagami, nel rinato C.N.G.E.I.
Infaticabile viaggiatore a piedi ed in moto, ha attraversato l’Europa e l’America partecipando a Jamboree ed eventi scout internazionali (Danimarca nel 1946, Norvegia, Grecia, Austria nel 1951, Inghilterra nel 1957, Canada, USA, ecc.), tutti documentati nel suo archivio che conta oltre cinquecento fotografie ed un fitto scambio epistolare con capi scout di fama mondiale, tra cui Lady Olave Baden Powell, vedova del fondatore del movimento Scout.
Siamo andati a trovarlo e lo abbiamo intervistato. Della sua infanzia, durante la Giungla Silente, ricorda in particolare la doppia veste del sabato: Figlio della Lupa la mattina e Lupetto il pomeriggio al San Prospero. Il passa-parola per concordare le riunioni, l’appoggio di un monaco dell’Eremo, le marce delle milizie tedesche che facevano tremare il pavimento di casa, le adunate alla Casa del Fascio.
E nonostante la clandestinità tante furono le escursioni in Aspromonte: la salita alla vetta di Montalto, la route Gambarie-Polsi con pernottamento negli alloggi dei pellegrini che si recavano alla Madonna della Montagna, un campo al laghetto Rumia, la route di cinque giorni Bivongi-Reggio e molte altre.
Una pagina poco conosciuta di un altro Aspromonte.

 

Fonti:
Mario Isella, Fedeli e Ribelli, Edizioni Scout-Fiordaliso
Carlo Verga, Vittorio Cagnoni, Le Aquile Randagie, scautismo clandestino lombardo nel periodo della Giungla Silente 1928-1945, Edizioni Scout-Fiordaliso
Archivio Oreste Serini
https://www.agesci.it/
http://www.monsghetti-baden.it/fondazione/portale_fondazione.htm
Video-testimonianza di Oreste Serini: https://fb.watch/pqxdfXx9m0/

di Joseph Moricca

Narra la leggenda di una maga che da tempi immemorabili abita nelle viscere dell’Aspromonte a guardia dei segreti della montagna. In un giorno di pioggia in cui il cielo sembrava trascinare a valle ogni cosa, un vecchio pastore risalì la valle del Bonamico in compagnia del figlio giovinetto: voleva convincere la maga a placare la furia degli elementi. La donna apparve in un turbine di vento in cima alla montagna e, ascoltate le parole del vecchio, vide il giovane e se innamorò perdutamente. Ella allora chiese al pastore di avere in cambio il suo figliolo, ma quello rifiutò sdegnato. Accecata dall’ira, la maga batté un piede sulla montagna che, con enorme fragore, precipitò sul pastore seppellendolo. Il giovane, rimasto solo e disperato, pianse tutta la notte. A poco a poco le sue lacrime formarono un lago nel quale la maga – dicono i pastori di quelle parti – ancora di tanto in tanto va a specchiarsi.
Fin qui la leggenda ma per chi non vi crede il lago nacque nella notte del 3 gennaio 1973 quando l’alveo della fiumara Bonamico (San Luca), in un tratto a monte del centro abitato, fu improvvisamente ostruito da circa 12 milioni di metri cubi di materiale in frana che precipitò da un costone ad una velocità assai elevata. Alcuni capi di bestiame vennero travolti ma per fortuna non si ebbero né feriti né perdite umane.
A monte dello sbarramento, nel giro di pochi giorni, l’acqua della fiumara riempì il bacino creando un lago di notevoli dimensioni che dagli anni ‘80 in poi fu meta di migliaia di escursionisti attratti dalla singolare bellezza del paesaggio.
Inizialmente il lago fu chiamato “degli oleandri”; successivamente venne denominato Costantino, in quanto la località dalla quale si staccò la frana ospita i ruderi di un monastero d’origine basiliana segnalato tempo addietro dal prof. Domenico Minuto.
Questa meraviglia naturale a distanza di circa trent’ anni dalla sua nascita è scomparsa del tutto a causa dell’inevitabile cospicuo trasporto solido di materiale alluvionale proveniente da monte che pian piano ha interrato il lago. La fiumara è tornata padrona e oggi solo chi conosce questa particolare storia riesce a distinguere il luogo esatto dove avvenne il singolare fenomeno.
Nel corso della sua vita il lago e il bacino che lo ospitò furono oggetto di interesse da parte di importanti centri di ricerca italiana ed europea per studiare e monitorare la situazione morfologica e stratigrafica che ha caratterizzato il raro evento della formazione di un lago naturale in un contesto geologico davvero singolare quale quello aspromontano.
In Italia i fenomeni franosi sono abbastanza frequenti data la particolare fragilità del territorio ed esistono un certo numero di laghi che si sono formati proprio a causa dello sbarramento di un corso d’acqua provocato da una frana. Si tratta quasi sempre di frane da “crollo” che interessano terreni in roccia compatta e che determinano sbarramenti piuttosto tenaci dando vita a laghi che possono durare anche secoli: es. laghi alpini di Molveno (Trento), Santa Croce (Belluno), Tenno (Trento), ecc.
Il lago Costantino si è formato a causa di una frana generata dallo scivolamento, su sottostante strato granitico, di un ammasso roccioso di tipo “sciolto” avente spessore di circa 30 metri, infiltrato da abbondante acqua meteorica. In questi casi il corso d’acqua demolisce in breve tempo la fragile diga naturale riportando la situazione ai livelli originari. Il piccolo straordinario lago Costantino, nonostante lo sbarramento non fosse particolarmente resistente, è durato circa trent’anni e cioè oltre ogni rosea previsione. Uno dei motivi di questa inaspettata “longevità” sta nel fatto che, dopo appena qualche giorno dall’evento, il Bonamico ha brevemente riempito il bacino formando il lago ma allo stesso tempo ha trovato una via d’uscita attraverso il corpo di frana e ciò ha permesso un flusso regolare dell’acqua a valle in perfetto equilibrio con il flusso dell’acqua proveniente da monte. Inesorabile poi l’interramento, come si è detto, a causa della cospicua quantità di detriti che la fiumara ha trascinato con sé decretando la fine di questo spettacolare laghetto aspromontano. La natura ha le sue leggi alle quali inutilmente tentiamo di opporci: la pioggia lo ha generato e la pioggia se l’è ripreso.

Postilla: può sembrare strana l’esistenza di una leggenda su di un lago, formatosi così di recente. Tale fenomeno tuttavia, in Aspromonte, è ricorrente tant’è che in una platea (elenco dei possedimenti) del Monastero di Polsi del 1685 è incluso uno specchio d’acqua. Infine, nel poema epico francese Chanson d’Aspermont del XII secolo, e poi nell’Aspramonte di Andrea da Barberino del XV secolo, il duca Namo, cavalcando per via montana da Reggio «verso Aspramonte», deve attraversare un grande fiume e poi si trova in una valle dove le pietre «rovinate dalla montagna» hanno formato «uno piccolo lago».

La leggenda è stata raccolta da Nino Armao nel 1985

Le foto sono di Antonio Delfino, Antonino Letto, Antonio Pelle, Alfonso Picone Chiodo, Archivio L’altro Aspromonte, Archivio CAI Edelweiss

Video sul lago

a cura della redazione de “L’Altro Aspromonte”

San Lorenzo, comune dell’area ionica dell’Aspromonte, posto in posizione dominante tra la vallata del Tuccio e quella dell’Amendolea. Salendo dal paese verso nord, tra caselli forestali, uliveti e castagneti, si può giungere a Peripoli, poggio a 1300 m di quota che probabilmente era un fortilizio reggino. Nel pianoro sommitale sorge isolata una piccola struttura in cemento armato.
La semplice croce in ferro battuto in cima alla facciata principale della casetta, edificata 60 anni fa per iniziativa dell’Amministrazione Comunale del tempo capeggiata dal sindaco Giuseppe Zuccalà e con il contributo popolare dei sanlorenzesi emigrati all’estero, sta ad indicare che è una cappella.
Figura stimata e apprezzata quella di Zuccalà, medico che rinunciò a una promettente carriera in Roma per tornare a San Lorenzo dove servì con generosità e professionalità le genti della vallata, soprattutto i meno abbienti. Fu in riconoscenza di ciò che la popolazione intera con una colletta raccolse la somma necessaria per regalargli un’auto con la quale consentirgli di prestare la sua assistenza. E alla prima auto, velocemente usurata dalle stradacce del Tuccio, ne seguirono altre due.
La cappella, di carattere privato, dedicata alla Madonna della Neve, venne inaugurata con un evento straordinario: una lunga marcia, una sorta di corteo al quale parteciparono personaggi politici di spicco e tanti fedeli e popolani di San Lorenzo che partirono dalla piazza principale del paese per raggiungere Peripoli attraversando località come la Croce, Murgi, Santa Maria, Zuparia, S. Antonio.
Davanti alla folla avanzava un’automobile (la Lancia Flavia, ultima delle tre regalategli dal popolo) che portava sul tetto una statua lignea, realizzata da un artigiano trentino, rappresentante la Madonna col Bambino in braccio (opera ispirata alla scultura marmorea che si può ammirare nella chiesa arcipretale di San Lorenzo). La destinazione di quel giorno del 5 agosto 1964, dopo la messa inaugurale, era proprio la piccola cappella di Peripoli dove la sacra effigie avrebbe dimorato.
La struttura è semplice, anche all’interno: poche sedie distribuite in pochi metri quadri di superficie davanti ad una sorta di scaffale di cemento che fa da altare maggiore sul quale venne poggiata la bellissima statua di Maria col suo Bambino. Nell’incavo sottostante vi rimase, da quel giorno, come atto di devozione, anche la Lancia Flavia che la trasportò.
Una targa in marmo sancì l’evento con la scritta: Amore ardente di figli in terra straniera dal bisogno spinti divozione profonda di popolo su questa ancor deserta vetta alla Madonna della Neve sul primo automezzo quassù trionfalmente pervenuta benedicendo esaudendo speranze aneliti secolari questo tempio innalzarono custode di radicati sentimenti religiosi primordio di novella storia.
In passato la cappella ospitò, spesso su richiesta popolare e per la ricorrenza, diverse celebrazioni eucaristiche corredate da raduni e clima festivo.
Attualmente tutta la zona appare trascurata e il piazzale dove sorge la struttura non è l’eccezione. Le fiamme del disastroso incendio che nell’estate del 2013 colpì quelle zone dell’Aspromonte raggiunsero pure la cappella facendo crollare il tetto e quanto vi era all’interno, annerendo anche la statua che venne portata nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo (dove si trova tutt’ora) e sottoposta successivamente ad un leggero restauro, ma senza recupero dell’originale bellezza. Qualche tempo dopo anche il tetto della cappella in qualche modo venne ripristinato.
Purtroppo, un altro terribile incendio che nel 2021 interessò molte località del Parco Nazionale d’Aspromonte completò l’opera del fuoco degli anni precedenti distruggendo completamente la pineta che circondava il piazzale e gran parte della vegetazione dei terreni circostanti.
Il paesaggio odierno non è bello da vedere e lassù, in contrada Peripoli, rimane in solitudine la cappella della Madonna della Neve, come fosse una edicola votiva ma senza l’oggetto dell’ex-voto, con la sua croce e la porta di ferro chiusa, abitata ormai soltanto dalla carcassa bruciacchiata di una vecchia auto a testimonianza di una breve misconosciuta storia.

Le foto d’epoca sono dell’archivio “L’Altro Aspromonte” al quale contribuiscono autorevoli studiosi locali e dal libro di Fortunato Mangiola, Storia di Giuseppe Zuccalà, 2024
La foto della statua della Madonna custodita nella chiesa di San Lorenzo è di Enzo Galluccio

La testuggine aspromontana (Testudo Hermanni Hermanni)
di Rocco Gatto (Socio della Societas Herpetologica Italica)

Vi parlo di una specie poco conosciuta ed elusiva che caratterizza l’Aspromonte, la testuggine (Testudo hermanni hermanni).
Le testimonianze della presenza della specie, in diverse aree della Calabria, sono molto eterogenee. Non si hanno certezze su quali siano le origini di questi rettili nella regione, per cui si possono avanzare solo ipotesi, a partire dalle vicende geologiche per arrivare a quelle storiche e che si ritiene risalgano al Pleistocene. In considerazione del particolare fenotipo dell’animale presente in alcune zone relitte della regione, specificatamente nella zona aspromontana, si potrebbe ipotizzare la presenza di un rifugio glaciale.
Per quanto attiene la storia recente, possiamo affermare che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 la testuggine era abbastanza presente in Calabria mentre oggi è molto rarefatta.
Nonostante occupi una posizione geografica di rilevante interesse naturalistico l’Aspromonte non possiede ancora studi completi sulla sua fauna erpetologica.
Indicativo della presenza della testuggine nella montagna reggina in epoca storica è il toponimo stracozza e stracozzi (dal greco òstracon=coccio), nome dialettale della testuggine, diffuso soprattutto nell’area ionica.
Soltanto nel 1998, a seguito di una ricerca condotta dal Dipartimento di Ecologia dell’Università della Calabria in convenzione con l’Ente Parco è stato realizzato un lavoro di censimento della fauna, riproposto in modo specifico per le testuggini qualche anno più tardi, che ha permesso di avere un primo quadro sulla situazione della specie.
Tra tutte le specie di Rettili presenti nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, la testuggine è la più minacciata perché in costante diminuzione. Diverse le cause: predazione dei nidi da parte di specie in aumento come il cinghiale e la volpe, alterazioni dell’habitat per il taglio della copertura vegetale o gli incendi o la cattura per la detenzione in cattività. Quest’ultimo aspetto giova ricordare che è vietato se non attenendosi a rigide norme di legge.
La specie è presente in buona parte nei pressi del corso medio-basso della fiumara Bonamico e di qualche suo affluente (Menti, Butramo), in formazioni vegetazionali di macchia mediterranea mista a ginestra. Approfonditi studi personali hanno in qualche modo ridisegnato l’areale distributivo e la consistenza della popolazione aspromontana della testuggine. Essa è segnalata in siti ubicati dai 20 m s.l.m. fino ad arrivare nel medio-alto corso della fiumara (frequente tra i 750 e i 970 metri di altitudine), fino alla sorprendente quota di 1200 metri, costituendo così il punto più alto in Italia e in Europa per quanto attiene i siti di presenza della testuggine. La resistenza dell’animale a siffatta altezza è da imputarsi alla singolare varietà del clima della vallata del Bonamico.
L’habitat prioritario della Testuggine è comunque rappresentato dai margini del bosco. Predilige piante caratterizzate dall’assenza di un asse principale di accrescimento e con ramificazioni in prossimità del suolo, che godono di maggior insolazione rispetto a quelle del sottobosco, ma beneficiano di un microclima più fresco e riparato di quello delle praterie e dei pascoli aperti.
La testuggine è anche presente nei vicini territori della cosiddetta “Vallata delle Grandi Pietre” tra eriche, lentisco, mirto, corbezzolo, castagno, lecci, cespugli di menta e di origano.
Finalmente nel 2015 è stato condotto uno studio dal Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienza della Terra dell’Università della Calabria e dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze da me supportati come studioso e naturalista appassionato. L’indagine ha dimostrato che in Calabria esistono due varietà, nettamente separate, appartenenti alla sottospecie Testudo hermanni hermanni. La prima, numericamente più consistente, occupa la porzione settentrionale della regione esclusa l’area limitrofa al monte Pollino. La seconda, invece, numericamente esigua, occupa una ristretta area a sud situata sul massiccio dell’Aspromonte.
Tesi anticipata nel mio libro “Testudo hermanni hermanni” (Rubbettino, 2012)  dove descrivevo le caratteristiche uniche appartenenti alle testuggini del nucleo aspromontano.
Tali studi hanno permesso di scoprire che le popolazioni calabresi della testuggine sono uniche nel quadro europeo dal punto di vista genetico e, tra queste, vi è una particolare divergenza morfologica intra-regionale in quanto il nucleo aspromontano fa registrare ulteriori peculiarità.
La varietà aspromontana risulta difatti in possesso di caratteristiche uniche, presentando colorazione prettamente melanica, tipica delle popolazioni di alta montagna, con carapace moderatamente cupuliforme, interessato da una percentuale di nero intenso nettamente superiore al giallo oro vecchio. Lo scudo sopracaudale si presenta diviso esternamente, mentre risulta unito all’interno.  Altra caratteristica è rappresentata dal secondo scudo vertebrale rientrante nel primo, nonché la particolare forma della parte posteriore dello stesso carapace (larghezza), che si presenta leggermente scampanata tanto da assumere la forma di un “gonnellino”. Altra peculiarità emersa di recente è la presenza in molti esemplari di un lieve ma evidente accenno di “gobba” tra il quarto e il quinto scudo vertebrale. È stata anche rilevata, in diversi esemplari, la presenza di piccoli speroni appuntiti, ai lati delle cosce e dei caratteristici “baffetti” gulari, sia simmetrici che asimmetrici. Testa, collo, zampe e coda risultano grigio-giallastri, unghie scure, mentre risulta assente, o appena accennata, nella maggior parte degli esemplari, la tipica macchia gialla sulle guance. Sono stati misurati maschi di 15,5 cm di lunghezza e femmine di 21 cm. La varietà sorprende inoltre per la capacità di adattarsi ad un ambiente estremamente difficile, sia dal punto di vista geo-climatico, sia dal punto di vista morfologico territoriale, trattandosi spesso di ambiente roccioso e scosceso.
L’importanza di quanto emerso dagli studi è stata oggetto di contributi scientifici a diversi congressi nazionali. Una presenza quindi unica e rara che arricchisce ancor di più l’Aspromonte.