Vi racconto di un luogo poco frequentato dagli escursionisti. Un vallone il cui nome è già una malìa: Stricòpitu. Si trova in agro di Roghudi, a monte del ponte sulla fiumara Amendolea.
Il primo approccio fu nel 2015 ma non riuscimmo a raggiungere la meta. Tornai nel 2020 e poi più volte e con diversi amici tenaci nell’esplorazione. Sino a quando non trovammo la via per affacciarci su questo strepitoso balcone sul serpente d’argento: l’Amendolea.
Il primo tratto del sentiero, in località Mango, collega diversi casolari, un piccolo borgo, testimoni di una fervida vita. Una casa, che poi seppi è di Salvatore Maesano detto Notrìa, conserva ancora oggetti, strumenti di lavoro (una sega a telaio fisso per ricavare tavole dai tronchi) e financo una chitarra.
Inizialmente si cammina agevolmente seguendo una mastra, un canale scavato nella roccia per addurre l’acqua alle gebbie. Ma inoltrandosi nel vallone l’abbandono dei coltivi rende i sentieri evanescenti dovendosi districare tra alberi caduti e ringraziando i cinghiali per i varchi aperti. Anche le case vengono fagocitate dai rovi. Infine, conquistiamo, come fosse la cima di un ottomila, il pianoro di Seddìda, anche qui ruderi di case. Località ora quasi irraggiungibile ma una volta coltivata, abitata. La vista si apre, verso valle, su Roghudi e in alto su Santa Trada, Puntone Travi e su, su … sino a Maesano.
Seguiamo con gli occhi quello che doveva essere il percorso che proseguiva verso monte, collegando una sequenza di casolari e sino alle cascate Linna e Castanò. Già i nomi, perlopiù in grecanico, ci attraggono: Plassà, Portella di Calojero, Mannaròpodi, Punta Rossa, Lisu, Berritta, Jumarda, Ropi, Limbìa.
Ma il tempo concesso è terminato e l’Aspromonte ci aveva già regalato tanto.
Un ultimo pensiero va al “Canali di maru Leu” che mi riporta alla mente un’altra mastra, ancora più ardita, alla quale arrivai dalla fiumara Amendolea nel 1986.
Non era ancora arrivato il torrentismo in Aspromonte e noi poveri esploratori andavamo controcorrente, nel senso che i corsi d’acqua li risalivamo. Nel 1986 organizzai una delle prime risalite esplorative delle fiumare ma chi doveva raggiungere le sorgenti dell’Amendolea (Roberto Lombi e Massimo Baldari) si dovette arrendere di fronte ai numerosi salti sotto Santa Trada. Tornai allora insieme a loro e con Tonino Micalizzi e Tito Gatto, determinati a superare l’ostacolo. Ci arrampicammo sulla parete destra (sinistra idrografica) della cascata e raggiungemmo questa canaletta (di maru Leu?) che ritenemmo provvidenziale, fiduciosi che ci avrebbe portato facilmente alla fiumara a monte delle cascate.  Ma non fu così perché in diversi punti la mastra era franata e quindi seguirla, con zaini pesantissimi e ingombranti, fu problematico e in diversi tratti rischioso. I pastori di quella contrada mi dissero poi di uno scalpellino (maru Leu?) che per scavare il canale veniva calato in una cesta appesa a una corda lungo la parete.
Storie incredibili dell’altro Aspromonte.

Ps: sull’etimologia di Stricòpitu ho interpellato diversi esperti (che ringrazio) e, con piacere, ho riscontrato come anche nei toponimi l’Aspromonte non si disveli facilmente. L’ultima ipotesi è che potrebbe essere composto da “òstrakon” = pezzo di ceramica e “pithos” = giarra, quindi una una giarra rammendata, rattoppata. Ma per dire “pezzo di giarra” in greco si costruirebbe la parola al contrario, ossia, pitòstraco.  Insomma, il mistero rimane.
Alcuni dei toponimi citati nel racconto, come Seddìda,, non sono riportati nelle carte topografiche ma sono stati raccolti da fonti orali. Li trovate tutti nella mappa toponimi
Per approfondimenti risalita tre fiumare 1986   video Mango Strìcopitu

Premessa
Col Trekking delle tre fiumare abbiamo raccontato della prima, pioneristica esplorazione dell’Aspromonte, nell’ormai lontano 1986.
All’avventura partecipò il giornalista e fotografo naturalista Franco Barbagallo. All’epoca avviò un’attività che lo portò a girare il mondo divenendo uno dei massimi professionisti con migliaia di servizi apparsi sulle maggiori riviste del settore e decine di volumi fotografici.
Ecco il suo ricordo e le immagini, inediti, di quell’esperienza.

IL RACCONTO
di Franco Barbagallo
Fra mille trekking in tutto il mondo, il più difficile e impegnativo è stato senza dubbio quello di tre giorni nel 1986 risalendo in Aspromonte la fiumara La Verde. Ero con la guida/esperto locale Alfonso Picone Chiodo, un filiforme lungagnone che si portava zaini sulle spalle che pesavano più di lui. Un entusiasta e appassionato che è poi stato capace di orientare la sua vita e il suo lavoro per la natura e la sua scoperta, soprattutto zaino in spalla. Il servizio doveva uscire sulla rivista “regina” Airone, con la quale avevo appena pubblicato due grossi servizi: La Traversata in sci alpinismo dell’Etna e Il Golfo di Noto in kayak da mare, che mi avevano dischiuso le porte di una collaborazione costante durata 25 anni. Solo che, alla fine, la nostra è risultata un’impresa epica, improponibile a tutti. Intanto perché serviva assolutamente una guida molto esperta. Poi perché bisognava essere molto preparati e capaci. I passaggi difficili, scoperti, potenzialmente pericolosi erano tanti. Pertanto, non fu pubblicato se non brevemente su Natura Oggi o Plein Air.
Ma rimase un’esperienza unica! Avevamo zaini notevoli, io anche attrezzatura e treppiede e ne è valsa comunque la pena, eccome. Tre giorni totalmente isolati dal mondo come fossimo in Papuasia. Dopo aver incontrato una donna che lavava i panni lungo la fiumara, non abbiamo più visto anima viva. Nel 1986 di canyoning non se ne parlava nemmeno, e noi abbiamo fatto canyoning al contrario, risalendo la fiumara dalla foce fin su in alto fra balze, rocce, canyon, strettoie, massi enormi da scavalcare o aggirare inerpicandoci come capre a fianco di cascate e laghetti di montagna inattesi dove rinfrescarci. Bevevamo quell’acqua con l’amuchina per renderla sicura, il cibo era il solito di un trek e la tenda sembrava una reggia. Eravamo giovani, entusiasti, motivatissimi. Sono poi tornato in Aspromonte tante volte: il bergamotto, Pentidattilo e per fare un gran bel servizio per Airone sul “Sentiero dell’Inglese”, della cooperativa Nuove Frontiere fondata da Alfonso e da Pasquale Valle.
La sublimazione del mio lavoro in Calabria (dove ho realizzato davvero tanti servizi per molte riviste) sono stati i due speciali per Airone: Calabria “Mare” e Calabria “Montagna”. Alla fine della realizzazione dei quali (in tutto si è trattato di 420 pagine, un vero e proprio libro) credo di aver avuto modo di conoscerla quasi quanto la mia Sicilia.
È stato molto bello scansire queste diapositive Kodakchrome 64, sepolte in un angolo del mio così vasto archivio, che mi hanno riportato indietro nel tempo in una delle più belle avventure della mia vita svolte con un caro amico, competente, gentile e educatissimo.
Oggi quelle foto sono un documento unico che testimonia un ambiente, dopo quasi 40 anni, ancora integro e selvaggio.