Gli abitanti di Roghudi, insediati nel cuore della vallata della fiumara Amendolea, avevano con questa un rapporto contrastante. Questo imponente e capriccioso corso d’acqua era via di comunicazione ma barriera nelle stagioni piovose, prezioso per l’acqua che irrigava alcune colture ma strumento di morte quando le alluvioni seminarono lutti.
Il ponte sulla fiumara Amendolea, tra Roghudi e Ghorio di Roccaforte (che quindi chiamo “di Roghudi”), dovrebbe aver avuto la seguente evoluzione.
Nelle carte più antiche che ho trovato (1870 e 1903), nelle quali presumibilmente dovrebbe essere stato riportato un manufatto del genere, non vi è nulla.
D’altronde il 9 agosto del 1893 il sindaco Romeo chiedeva al prefetto Virginio Rambelli la costruzione della strada rotabile con la quale “avremmo i due ponti sui due grossi torrenti che quasi annualmente fanno delle vittime della gente che obbligatoriamente deve attraversarli”. (1)
La prima immagine che ho trovato in cui si vede qualcosa che potrebbe essere una passerella pedonale (come mi riferiscono anche alcune delle fonti orali consultate) è una foto aerea scattata da uno Spitfire britannico impegnato come ricognitore nel 1943. Una passerella così precaria da causare anche morti.
Segue il ponte ad arco realizzato nel 1934-36 dal Genio Civile e del quale pubblico 3 foto. La larghezza della carreggiata consentiva appena il transito delle auto, la prima a Roghudi giunse nel 1960.
Interessante la foto che ritrae una briglia a monte del ponte a sua protezione ma che venne spazzata via dalla fiumara, insieme al ponte, nei primi anni ’60. Pubblico anche una foto dell’attuale tracciato, subito dopo il ponte, con evidenziato il vecchio percorso.
Venne poi realizzato, nel 1963, un ponte in ferro con piano in tavoloni. Spesso ne mancavano alcuni rendendo rischioso il passaggio.
Nela seconda metà degli anni ’70 venne costruito l’attuale ponte a campata unica, finalmente un’opera sicura. Tuttavia, qualche anno prima le alluvioni avevano costretto gli abitanti di Roghudi e della sua frazione Ghorio a lasciare le proprie case. Insomma, venne realizzato quando non vi era più nessuno a cui servisse! Inoltre, non avendo una briglia a monte l’apporto di materiale litico è così cospicuo che la luce libera finisce con l’essere chiusa richiedendo interventi di rimozione.

Ben più a valle di Roghudi esiste il ponte che possiamo chiamare di Amendolea perché porta alla frazione omonima. Nella foto aerea del 1943 non vi è nessun manufatto come confermano i miei informatori. Si passava più a monte, a Malopertuso (il nome è un programma) e a San Carlo, più a valle. Si guadava il fiume a piedi con passerelle improvvisate. D’inverno quando la fiumara, con voce greca, faceva “pelago”, cioè, era in piena, si attraversava con dei carri. O a piedi immergendosi nell’acqua. In tal caso gli uomini più valenti si offrivano come Caronte, trasportando sulle spalle, per meglio dire a “pecurumbè”, da una riva all’altra coloro che ne avevano bisogno. O tenendosi per mano e formando una catena umana per resistere alla corrente del fiume.

Scarne notizie sugli attraversamenti del torrente Furrìa, affluente dell’Amendolea, tra Ghorio di Roghudi e Bova. Un vecchio ponte è ancora in piedi, a lato dell’attuale. Il luogo è oggi conosciuto dai torrentisti per le belle gole che forma, anche se non integralmente percorribili per frane.

In ultimo segnalo un ponte lungo una strada chiusa da tempo, quella che dai Campi di Bova, alla Croce di San Leo, scendeva a Roghudi, franata proprio in quest’ultimo tratto. Nel tratto iniziale serve diverse contrade ed è ancora in qualche modo percorribile. Si incontra un ponte detto delle vacche dato che sono i principali e forse unici fruitori stabili.
Ringrazio Domenico Minuto, Salvino Nucera, Ugo Sergi, Bruno Stelitano.

(1) Vincenzo Cataldo, Per ordine del Prefetto. Problemi, iniziative e governo del territorio nella provincia di Reggio Calabria durante la prima fase post-unitaria, Associazione Promocultura, 2022

Di seguito i link per poter osservare con Google Maps i vari ponti.
ponte Roghudi
ponte Amendolea
ponte Furria
ponte vacche
passerelle varie

Conoscerete il ghiro o quantomeno saprete che è un piccolo roditore famoso per il suo sonno prolungato e la sua irresistibile dolcezza. Meno simpatico quando infesta i solai delle case rurali provocando danni alle travi in legno.
Il ghiro (Glis glis) è un animale notturno diffuso in tutta Europa, dalla pianura ala montagna. Arboricolo, predilige frutteti e boschi di querce e latifoglie in genere. Lungo circa 30 cm di cui quasi metà è la coda e pesa meno di 100 gr. Pelliccia grigio cenere e bianca sul ventre.
Passa gran parte della sua vita a dormire. Durante l’inverno entra in un lungo letargo, per lo più in cavità degli alberi, che può durare fino a sette mesi! Questo letargo è il modo in cui il ghiro conserva energia e sopravvive ai rigori dell’inverno, quando il cibo è scarso.
Ma il ghiro non è solo un grande dormiglione. È anche un abile scalatore e un esperto nel trovare rifugi sicuri nei tronchi degli alberi o nelle cavità delle rocce. La sua dieta varia a seconda della stagione: si nutre di frutta, ghiande, insetti e piccoli vertebrati.
Se in pericolo cerca di distrarre il predatore staccandosi la coda, come le lucertole. Il meccanismo di difesa si definisce autotomia. Alcuni animali, se soggetti a predazione, si amputano parti del corpo per disorientare il predatore che spesso viene distratto dal parziale “bottino” consentendo all’inseguito di fuggire. A differenza delle lucertole però al ghiro la coda non ricresce.
Curiosità: il ghiro è noto per il suo “chatter”, un suono che emette per comunicare con i suoi simili. Ha infatti una vita sociale molto sviluppata e vive spesso in piccoli gruppi familiari. Il ghiro, in grecanico detto “oddìo”, può arrivare a vivere anche oltre dieci anni e pare che tale longevità sia dovuta all’effetto benefico del letargo.
Il ghiro era considerato una prelibatezza per le sue carni dagli antichi romani. Veniva cacciato e allevato in speciali contenitori chiamati “gliraria”.
Fino al 1977, anno di promulgazione della legge 968, rientrava tra le specie cacciabili. Attualmente è protetto dalla L.157/92, la c.d. legge sulla caccia, ed in Calabria, in relazione alla normativa nazionale, dalla L.R. 9/96 che ne vieta la caccia, la cattura e la detenzione.
Nonostante ciò, in Aspromonte è ancora ricercato. Un tempo si cacciava nelle notti di luce piena, ma con l’avvento della tecnologia si passò alle torce elettriche montate su fucili di piccolo calibro, con le quali una volta abbagliato è un facile bersaglio. Utilizzano anche le trappole poste sugli alberi attraendolo con castagne, noci o ghiande. In montagna se ne trova un’ampia varietà: dalla “praca”, la più antica fatta con due pietre piatte e un ingegno, a quelle più moderne, sorprendenti per i tanti materiali usati. Negli ultimi decenni gli incendi sono responsabili della riduzione del suo habitat.

n.b.: alcune immagini sono tratte dal web

Video ghiro

A cura della redazione de “L’Altro Aspromonte”

Nel 1922, poco più di cento anni fa, è stato ricordato da alcune recenti ricerche (che sotto indichiamo), nasceva ufficialmente tra i boschi di Mannoli, poco sopra S. Stefano d’Aspromonte, quella che è forse l’opera più significativa, viva ed attuale, di Umberto Zanotti Bianco.
L’idea di realizzare colonie montane dove portare in un ambiente salubre i bambini malarici o predisposti alla tubercolosi, da tempo nei piani di Zanotti Bianco, si era resa attuabile nel 1920, quando, tornato in Calabria nel dopoguerra, poté valersi della donazione fatta all’ANIMI di un ampio terreno da parte della famiglia Romeo di Santo Stefano. I lavori iniziarono subito e furono segnati dal dinamismo coinvolgente di Zanotti Bianco che già a dicembre del 1923 chiedeva aiuti per l’arredamento al Comando Militare locale per opere “destinate ad assistere ed educare gli orfani di guerra”.
La colonia iniziò prontamente a funzionare con due grandi padiglioni in legname per i dormitori dei ragazzi e il loro refettorio e persino un piccolo chalet venne trasportato da Reggio e rimontato sul posto.
Il tutto completato dalla bellissima chiesetta in legno che sovrasta il villaggio e che venne pensata e disegnata nei particolari da Zanotti Bianco stesso. Sul frontale d’ingresso è riportato un versetto del vangelo di Giovanni: Ut Omnes In Te Unum Sint (Affinché tutti siano in Te un’unica realtà).
Negli anni successivi Zanotti Bianco, muovendosi tra l’Italia e l’Europa, riusciva ad ottenere fondi per migliorare la struttura, tra i quali una cospicua somma dalla oggi conosciutissima “Save the Children” che era nata a Londra nel 1919 proprio per far fronte alle spaventose condizioni di vita di tanti minori dopo la Prima guerra mondiale.
Nel 1931 furono realizzate importanti opere idrauliche ai margini del territorio della colonia per imbrigliare le acque e opere di contenimento del terreno che hanno preservato nel tempo efficacemente l’area della Colonia. Il 1° giugno 1932 Zanotti Bianco vi accompagnava in visita il principe di Piemonte Umberto di Savoia con la principessa Maria José.
Gli anni successivi e la Seconda guerra mondiale registrano massicce richieste da varie parti del Mezzogiorno per soggiorni in favore di bambini bisognosi di cure accuditi dalle suore Francescane Alcantarine, sotto la gestione dello storico segretario dell’ANIMI e grande collaboratore di Zanotti Bianco, Gaetano Piacentini.
L’impegno di Zanotti Bianco non verrà meno per la Colonia anche nel dopoguerra nonostante la nomina nel 1944 a presidente della Croce Rossa e quella nel 1952 a senatore a vita da parte di Einaudi. Una lettera del 1958 attesta i ringraziamenti di Zanotti Bianco al prof. Pietro Timpano, per le notizie ricevute sulle condizioni sanitarie dei bambini della Colonia Franchetti.
Nel 1960 gli edifici aumentarono a 11 in muratura, oltre allo chalet per gli ospiti, le due scuole e un grande padiglione in legno.
La popolazione di Mannoli volle riconoscere l’impegno di Zanotti Bianco per cui, in accordo con l’amministrazione comunale di S. Stefano, gli venne intitolata la piazza centrale della frazione.
Un vero e proprio villaggio dei fanciulli in mezzo agli alberi che però terminò di operare quando, nel recente passato, le Suore andarono via. Ma una decina di anni fa il MASCI RC 4 (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani), ha preso in gestione alcune strutture (le restanti sono della Curia reggina e al momento non utilizzate) facendone una base scout.
Una delle creature di Umberto Zanotti Bianco è quindi tornata a vivere.

Per notizie e approfondimenti storici:
1) Alfredo Vadalà, Gli interventi dell’ANIMI nel Comune di Santo Stefano d’Aspromonte. La Colonia Franchetti, L’Asilo monumentale La Colonia Franchetti, L’Asilo monumentale La Biblioteca popolare, La Scuola itinerante sull’Aspromonte Iiriti Editore, 2022
2) Alfredo Focà, Umberto Zanotti Bianco in Aspromonte: Santo Stefano in Aspromonte, Mannoli, Africo, Ferruzzano, Perlupo. In memoria di Umberto Zanotti Bianco nel 60esimo dalla sua scomparsa: 1963-2023, Iiriti Ed. 2023
Zanotti Bianco, L’Aspromonte, la memoria
Zanotti Bianco e gli asili in Aspromonte