L’Aspromonte è una montagna singolare. Una sua unicità era il lago Costantino, formatosi per una frana che ostruì la fiumara Bonamico. Particolare per la nascita lo fu anche per la scomparsa avvenuta per interramento. Potete leggere la sua storia in  https://www.laltroaspromonte.it/storie/il-lago-costantino/

Ulteriori notizie le abbiamo tratte dagli studi dei geologi Peter Ergenziger e Hillert Ibbeken dell’Università di Berlino che si occuparono per diverso tempo di studiare le caratteristiche dell’apporto solido che interessa i corsi d’acqua e le zone lacustri in particolare. Altri studi simili hanno posto l’accento sulla qualità del materiale trasportato ma non sulla quantità che risulta invece determinante per l’equilibrio complessivo dei bacini idrici.
La Calabria e l’Aspromonte in particolare offrirono allora condizioni uniche ai ricercatori tedeschi che vi dedicarono 20 anni dei loro studi.
Ma perché proprio la Calabria?
Molteplici i motivi:
– il territorio è interessato da movimenti tettonici risalenti al Pleistocene che ne hanno causato un innalzamento fino a 1000 metri con conseguenti fenomeni disgregativi che lo rendono particolarmente fragile;
– presenza di corsi d’acqua ad altissima energia (brevi e assai pendenti);
– presenza di formazioni rocciose degradate di natura granitica (ignee intrusive), metamorfica e sedimentaria;
– disponibilità di cartografia aggiornata in scala 1:100.00 e 1: 25.000 a carattere topografico e geologico (1: 25.000);
– distanza da Berlino di circa 2.300 chilometri, non brevissima ma che ha consentito di trasportare in auto una quantità notevole di materiali e strumentazione (impossibile in aereo o treno);
– massima disponibilità, accoglienza e collaborazione della popolazione (in particolare la famiglia Stranges di San Luca) e delle autorità locali che hanno messo gli studiosi in condizioni di operare con assoluta tranquillità.

Le immagini sono tratte dal volume “Sorce and Sedime di H. Ibbeken – R. Schleyer, 1991 Frei Universität di Berlino” e i testi tradotti e rielaborati dall’ing. Joseph Moricca.

Foto 01
La frana di Costantino immediatamente dopo la sua formazione il 4 gennaio 1973. Altezza massima della diga è di 80 metri. Attualmente il livello del lago sta ancora salendo. Notare che la frana si è accumulata sul pendio a destra nella foto e anche la cospicua fuoriuscita dell’acqua nella parte centrale della diga dove si è creata un’apertura. È questo il luogo dove un mese dopo l’evento franoso si è formato il nuovo assetto della valle. (Foto Mario Stranges)

Foto 02
Vista a monte e verso lo sbocco della valle del Bonamico appena formata. Questa valle si è formata lentamente e silenziosamente in periodo di circa dieci giorni e non bruscamente in un’unica catastrofica rottura della diga.
Per molti anni, la frana sarà la causa di un eccesso di deposito sedimentario sul letto della fiumara a monte dello sbarramento. A monte del lago, durante le inondazioni, la potenza dell’acqua è sufficiente a trasportare massi ancora più grandi, come si nota qui.

Foto 03
Gneiss* e pegmatiti** della zona del lago Costantino. Il forte grado di disgregazione rende queste rocce la principale fonte di approvvigionamento ghiaioso del bacino del Bonamico. Si nota una cascata che si getta nel lago.
*roccia stratificata di origine metamorfica
** rocce magmatiche di natura intrusiva

Foto 04
La frana Costantino. La foto è stata scattata nel marzo del 1973, due mesi dopo l’evento. Da notare che la frana, staccatasi dal costone a sinistra, per la velocità, si è accumulata in alto sul pendio a destra. La diga è ora tagliata dalla nuova valle, il lago retrostante viene riempito dalla fiumara.

Foto 05
Vista verso Nord del monte Scorda (1572 m), limite settentrionale del massiccio metamorfico dell’Aspromonte. Numerose frane alimentano il ripido canale del Vallone Aurea, al centro, principale affluente del Buonamico superiore. A destra, in fondo, la piana dello Zomaro. Singoli esemplari di pini larici.

Foto 06
Pendii scoscesi e frane del Potamia, breve ma possente affluente del Buonamico in primo piano. Sulla cresta, al centro e a destra, i ruderi del villaggio Potamia, abbandonato dopo il terremoto del 1783. È questo l’aspetto tipico dei pendii della fascia ad alta pendenza.

Foto 07
Campionamento in alveo dei sedimenti del fiume Buonamico. Vista a monte da sotto San Luca verso ovest, cioè verso la linea di massima pendenza dove il fiume si allarga. Sullo sfondo si nota la frana Costantino.

Foto 08
La frana di Fernìa dell’ottobre 1951, innescata da un temporale che durò 3 giorni con precipitazioni di quasi 1500 mm. Tuttavia, questa frana, intrappolata nella sua parte superiore a forma di X, contribuisce solo in minima parte al sistema fluviale attuale.

Foto 9 e 10
Il delta del lago Costantino nel settembre 1976. La maggior parte di questo corpo sedimentario è stato depositato subito dopo la formazione del lago.

Tra i greci di Calabria ho conosciuto diversi personaggi. Catuzza Nucera detta di Clistì era unica. La descrive mirabilmente Valentino Santagati nel suo libro (con Carlo Mangiola) Le vacche sono anime del Purgatorio, Iiriti 2001

Catuzza Nucera di Bova, la vedova del maresciallo Volontà, non parlò greco in gioventù.
Era nata nel 1912 in una famiglia contadina e i suoi genitori, convinti che il greco rivelasse alle orecchie del mondo l’uomo d’ammunti, zangrèo e paddecu, basarono l’educazione linguistica della prole sul calabrese boviciano.
Solo quando si bisticciavano scappavano dalle loro bocche male parole greche, e quando si cantavano travùdi d’amore non riuscivano a prescindere dalla lingua madre.
A dispetto di tutti gli accorgimenti, nel segno dei canti e delle piccole sciarre familiari, Catuzza diventò comunque grecofona. Io la ricordo nelle manifestazioni degli ellenofoni e negli incontri tra greci di Grecia e di Calabria: con le pupille ridenti dentro gli occhiali grandi si avventava sul microfono come su una preda fino a stringerlo con forza mentre se lo portava alla bocca.
A quel punto, sventolando la mano libera con un gesto frequente nelle contadine che cantano o si accalorano nel parlare, dava inizio all’esecuzione di una sfilza di canti greci.
Catuzza proseguiva ad oltranza, con un’allegria e un calore che conquistavano sempre l’uditorio, fino a quando qualche imbarazzato organizzatore, ringraziandola e proponendo un applauso per lei, non le strappava il microfono di mano per evitare di accumulare ritardi sullo svolgimento del programma.
Una sera di dicembre del 1990, mentre parlavamo nella casetta di Bova ove viveva col figlio schettu (celibe n.d.r.), feci osservare a Catuzza che forse i suoi mari (defunti n.d.r.) genitori sarebbero stati contenti di una figlia come lei, che vendicava dopo tanti anni le loro umiliazioni impegnandosi nel revival del canto greco.
“Ma cu lu sapi — dubitò Catuzza — iddi camparu quandu lu greco era mundizza. Nui avivamu lu granu seminatu e facivamu lu bacu di la seta, ma me patri era capu mulatteri chi purtau lu sali di Melitu a Bova pi sessant’anni. Aviva nu frati a lu seminariu puru. Accamora di mia pensavanu ca pacciai, ca li sensi mi bbandunaru”.
(Ma chi lo sa – dubitò Catuzza – loro sono vissuti quando il greco era spazzatura. Noi avevamo il grano seminato e allevavamo il baco da seta, ma mio padre era capo mulattiere che portò il sale da Melito a Bova per sessant’anni. Aveva pure un fratello in seminario. Ora di me penseranno che sia impazzita, perché i sensi mi hanno abbandonato n.d.r.).
Nucera Caterina nata a Bova il 09-09-1912, deceduta a Melito di Porto Salvo il 21-05-1997

Un tragico incidente avvenuto oltre un secolo fa in Aspromonte, narrato vividamente dallo scrittore sanluchese Fortunato Nocera in Colloquio col padre, Città del Sole 2011

Mia nonna perse il padre da bambina a causa di una disgrazia che ha dell’incredibile. Era la fine del 1800 e Francesco tornava dalla montagna dove lavorava come garzone in una delle mandrie di don Vittorio, portava la bisaccia carica di formaggi da consegnare al padrone. Era il mese di settembre, la calura era ancora grande. Francesco sentì il bisogno di rinfrescarsi ad una sorgente che scaturiva in una valletta vicina. Per abbreviare il cammino lasciò il sentiero che portava al paese e prese per un campo di mais. La raccolta delle pannocchie era avvenuta da poco; gli steli erano stati tagliati a circa venti-trenta centimetri dal suolo. Per la stanchezza, per la sete e per la grande calura, Francesco inciampò con una delle stringhe delle sue calandrelle e cadde in avanti, sospinto anche dal peso della bisaccia.  Uno degli steli tagliati a forma di cuneo andò a conficcarsi nel petto recidendo di netto l’aorta. Morì dissanguato in meno di mezz’ora. Fu trovato la sera dello stesso giorno. Avrebbe compiuto trent’anni la settimana successiva. Aveva attraversato valli e valloni, era passato su strettissimi viottoli a strapiombo su profondi burroni, aveva guadato torrenti turbinosi, saltando sulle pietre che affioravano dall’acqua, aveva camminato ininterrottamente per quattro ore e mezzo ed era venuto a morire in pianura, a meno di un chilometro da casa.