di Giuseppe Arcidiaco

L’artista e viaggiatore lettone Theodore Brenson nacque a Riga nel 1893. Dopo gli studi di architettura, si formò nelle accademie e nelle scuole d’arte di Riga e San Pietroburgo ed alle Università di Mosca e di Riga. Visse per qualche tempo spostandosi per l’Europa e nel 1941 si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti dove allestì diverse mostre e insegnò arte nelle università americane.
Significativo ed arricchente fu, per lui, il viaggio attraverso l’Italia che intraprese negli anni 20 del ‘900, periodo in cui il suo estro artistico raggiunse l’apice. Le sue “visioni” sono caratterizzate da una sublime semplicità, a tratti onirica, evocativa di un passato persistente ed immortale.
L’Italia fu per Brenson, un luogo in cui si recò per “trovarvi una grande forma costruita armoniosa e spirituale ed ho trovato molto più. Avanti all’anima mia si è aperto un mondo nuovo, dove l’uomo non è più isolato sulla terra, ma dove terra e uomo formano un insieme così intimo, così unito nella luminosità dell’atmosfera che quasi non sembra reale”. Così, egli stesso si espresse in una lettera a Luigi Parpagliolo, saggista e studioso calabrese.
Artista errante e dall’insaziabile curiosità per i luoghi, le popolazioni, le culture, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, raggiunse la Calabria nell’estate del 1927, rimanendovi per circa tre mesi. Qui dipinse un centinaio di tele, alcune delle quali riprodotte nella raccolta “Visioni di Calabria – Cinquantadue disegni di Teodoro Brenson”, edita nel 1929 a Firenze da Vallecchi diretta dal   meridionalista Umberto Zanotti-Bianco e arricchita da un saggio di Luigi Parpagliolo.
Alla pubblicazione del 1929 ne seguirono altre di Raffaele Gaetano del 2010 per Gigliotti e del 2014 per Città del Sole.
Brenson subì l’incanto e l’infatuazione degli scenari calabresi e ne lasciò al mondo un’ingente traccia iconografica, composta da molteplici “visioni”: panorami, particolari di antichi borghi, scorci di paesaggi naturalistici, scene di vita quotidiana degli abitanti del luogo, istantanee di una terra periferica, sconosciuta ai più e, per certi versi, ancora incontaminata dal pensiero dominante dell’Europa di quegli anni. Il rifugio perfetto per un artista in cerca di ispirazione e di luoghi da contemplare.
Fu un ritrattista eclettico ed un raffinato disegnatore che sperimentò svariate tecniche espressive: disegno a matita, sanguigna, seppia e carboncino, lapis nero ma anche incisione, pittura a guazzo, acquerelli ed acqueforti. Nelle sue raffigurazioni, dominanti sono la prospettiva e la cura dei dettagli nella rappresentazione di edifici, castelli, chiese, rocche e singoli monumenti, i cui volumi emergono plastici e definiti, ma sempre percepiti come in armonia con il paesaggio circostante e modellati dalla luce e dalle ombre. Nei disegni brensoniani, la natura e gli elementi antropici sono equilibratamente presenti, ma filtrati, purificati e ridotti all’essenza dalla mente dell’illustratore che, pur conservandone realismo e fotografica oggettività, si discosta dai pittori vedutisti del ‘700, “visioni” appunto, non “vedute”.
Le opere calabresi di Brenson mostrano le località visitate durante le sue molte peregrinazioni, raggiunte talvolta con difficoltà. Tra le più emblematiche della provincia di Reggio Calabria ricordiamo la Costa Viola e poi l’entroterra con Pentidattilo, il bosco di ulivi di Sinopoli, i borghi di Bova e Gerace. Raggiunse e ritrasse anche la vetta del Montalto sormontata dalla statua del Redentore ed il santuario di Polsi immersi nella suggestiva e selvaggia natura dell’Aspromonte. In particolare, l’ascesa a Montalto dal paese di Santo Stefano avvenne sotto la guida dello stesso Zanotti-Bianco che fu tra i promotori del viaggio di Brenson in Calabria.
L’artista ci lascia un patrimonio di immagini che evocano e testimoniano una Calabria che in parte non esiste più, restituendole splendore e dignità.