A distanza di un anno dalla epica risalita delle Tre Fiumare venne intrapresa una nuova avventura. Un viaggio a piedi dal mar Jonio al mar Tirreno attraversando il cuore del massiccio aspromontano.
La preparazione fu meticolosa iniziando ben sette mesi prima con la ricerca di sponsor, la scelta dell’attrezzatura, l’allenamento, la composizione della squadra.
Anche questa volta si trattò di un viaggio faticoso e non privo di pericoli oggettivi che il gruppo coeso però seppe affrontare fin dall’avvio alla foce della fiumara La Verde risalita sino alle sue origini a Montalto per poi discendere il versante opposto del massiccio seguendo il torrente Favazzina sino al mare. Per una settimana di cammino con zaino in spalla.

Un breve ricordo di Roberto Lombi, uno dei protagonisti, introduce alle immagini del luglio 1987 e all’articolo che uscì sulla rivista Calabria Sconosciuta

Alfonso mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Jonti ‘87, quindi comincio con ringraziarlo, molte cose non sarebbero state possibili senza la sua testardaggine!
Di quell’avventura ho bellissimi ricordi personali, ma per quest’occasione, ho nuovamente letto l’articolo uscito all’epoca sulla rivista “Calabria Sconosciuta”; ricordo l’orgoglio con cui lo lessi la prima volta: quello che per me era un gioco, una sfida personale, era raccontato su una vera rivista. Fu in quel momento che ho capito: quel gioco era diventato qualcosa di importante, era l’inizio dell’escursionismo in Aspromonte.
Fare escursionismo in questa montagna, in quegli anni, non era una cosa scontata: erano gli anni dei sequestri, l’Aspromonte era noto per i summit di “ndrangheta”, non certo per le sue bellezze naturali. In quegli anni esisteva una barriera invisibile tra chi abitava e viveva l’Aspromonte e chi viveva in città da ‘borghese’ e quei due mondi si guardavano con diffidenza e paura.
Chi viveva in montagna dava per scontate le sue bellezze, talvolta le considerava anche un fastidio, ma certamente non le considerava una risorsa. Per contro, tutti gli altri immaginavano l’Aspromonte come un luogo impervio, inaccessibile e popolato da delinquenti.
Poi c’eravamo noi, un gruppo di studenti, che si lanciava all’esplorazione di questa montagna sconosciuta, forse ispirato dai film di Indiana Jones, usciti pochi anni prima, o dai documentari naturalistici che cominciavano ad apparire sui palinsesti televisivi.
Dall’articolo traspare soprattutto la meraviglia per le bellezze naturali (ri)scoperte, ma inconsapevolmente, era già iniziato ciò che ha reso questa ‘impresa’ più importante di una semplice escursione; avevamo iniziato a conoscere gli uomini e le donne che abitavano l’Aspromonte, avevamo aperto la prima breccia in quel muro invisibile.
Negli anni successivi l’associazione “Gente in Aspromonte” crebbe, portò centinaia di persone in Aspromonte e mi piace pensare che, con la Jonti ‘87, abbiamo contribuito a (ri)avvicinare la costa e l’entroterra, i ‘cittadini’ ai ‘montanari’, a costruire una cultura condivisa della montagna.

di Giuseppe Arcidiaco

L’artista e viaggiatore lettone Theodore Brenson nacque a Riga nel 1893. Dopo gli studi di architettura, si formò nelle accademie e nelle scuole d’arte di Riga e San Pietroburgo ed alle Università di Mosca e di Riga. Visse per qualche tempo spostandosi per l’Europa e nel 1941 si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti dove allestì diverse mostre e insegnò arte nelle università americane.
Significativo ed arricchente fu, per lui, il viaggio attraverso l’Italia che intraprese negli anni 20 del ‘900, periodo in cui il suo estro artistico raggiunse l’apice. Le sue “visioni” sono caratterizzate da una sublime semplicità, a tratti onirica, evocativa di un passato persistente ed immortale.
L’Italia fu per Brenson, un luogo in cui si recò per “trovarvi una grande forma costruita armoniosa e spirituale ed ho trovato molto più. Avanti all’anima mia si è aperto un mondo nuovo, dove l’uomo non è più isolato sulla terra, ma dove terra e uomo formano un insieme così intimo, così unito nella luminosità dell’atmosfera che quasi non sembra reale”. Così, egli stesso si espresse in una lettera a Luigi Parpagliolo, saggista e studioso calabrese.
Artista errante e dall’insaziabile curiosità per i luoghi, le popolazioni, le culture, sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, raggiunse la Calabria nell’estate del 1927, rimanendovi per circa tre mesi. Qui dipinse un centinaio di tele, alcune delle quali riprodotte nella raccolta “Visioni di Calabria – Cinquantadue disegni di Teodoro Brenson”, edita nel 1929 a Firenze da Vallecchi diretta dal   meridionalista Umberto Zanotti-Bianco e arricchita da un saggio di Luigi Parpagliolo.
Alla pubblicazione del 1929 ne seguirono altre di Raffaele Gaetano del 2010 per Gigliotti e del 2014 per Città del Sole.
Brenson subì l’incanto e l’infatuazione degli scenari calabresi e ne lasciò al mondo un’ingente traccia iconografica, composta da molteplici “visioni”: panorami, particolari di antichi borghi, scorci di paesaggi naturalistici, scene di vita quotidiana degli abitanti del luogo, istantanee di una terra periferica, sconosciuta ai più e, per certi versi, ancora incontaminata dal pensiero dominante dell’Europa di quegli anni. Il rifugio perfetto per un artista in cerca di ispirazione e di luoghi da contemplare.
Fu un ritrattista eclettico ed un raffinato disegnatore che sperimentò svariate tecniche espressive: disegno a matita, sanguigna, seppia e carboncino, lapis nero ma anche incisione, pittura a guazzo, acquerelli ed acqueforti. Nelle sue raffigurazioni, dominanti sono la prospettiva e la cura dei dettagli nella rappresentazione di edifici, castelli, chiese, rocche e singoli monumenti, i cui volumi emergono plastici e definiti, ma sempre percepiti come in armonia con il paesaggio circostante e modellati dalla luce e dalle ombre. Nei disegni brensoniani, la natura e gli elementi antropici sono equilibratamente presenti, ma filtrati, purificati e ridotti all’essenza dalla mente dell’illustratore che, pur conservandone realismo e fotografica oggettività, si discosta dai pittori vedutisti del ‘700, “visioni” appunto, non “vedute”.
Le opere calabresi di Brenson mostrano le località visitate durante le sue molte peregrinazioni, raggiunte talvolta con difficoltà. Tra le più emblematiche della provincia di Reggio Calabria ricordiamo la Costa Viola e poi l’entroterra con Pentidattilo, il bosco di ulivi di Sinopoli, i borghi di Bova e Gerace. Raggiunse e ritrasse anche la vetta del Montalto sormontata dalla statua del Redentore ed il santuario di Polsi immersi nella suggestiva e selvaggia natura dell’Aspromonte. In particolare, l’ascesa a Montalto dal paese di Santo Stefano avvenne sotto la guida dello stesso Zanotti-Bianco che fu tra i promotori del viaggio di Brenson in Calabria.
L’artista ci lascia un patrimonio di immagini che evocano e testimoniano una Calabria che in parte non esiste più, restituendole splendore e dignità.