Il filo della vita appeso… alla stringa delle calandrelle
Un tragico incidente avvenuto oltre un secolo fa in Aspromonte, narrato vividamente dallo scrittore sanluchese Fortunato Nocera in Colloquio col padre, Città del Sole 2011
Mia nonna perse il padre da bambina a causa di una disgrazia che ha dell’incredibile. Era la fine del 1800 e Francesco tornava dalla montagna dove lavorava come garzone in una delle mandrie di don Vittorio, portava la bisaccia carica di formaggi da consegnare al padrone. Era il mese di settembre, la calura era ancora grande. Francesco sentì il bisogno di rinfrescarsi ad una sorgente che scaturiva in una valletta vicina. Per abbreviare il cammino lasciò il sentiero che portava al paese e prese per un campo di mais. La raccolta delle pannocchie era avvenuta da poco; gli steli erano stati tagliati a circa venti-trenta centimetri dal suolo. Per la stanchezza, per la sete e per la grande calura, Francesco inciampò con una delle stringhe delle sue calandrelle e cadde in avanti, sospinto anche dal peso della bisaccia. Uno degli steli tagliati a forma di cuneo andò a conficcarsi nel petto recidendo di netto l’aorta. Morì dissanguato in meno di mezz’ora. Fu trovato la sera dello stesso giorno. Avrebbe compiuto trent’anni la settimana successiva. Aveva attraversato valli e valloni, era passato su strettissimi viottoli a strapiombo su profondi burroni, aveva guadato torrenti turbinosi, saltando sulle pietre che affioravano dall’acqua, aveva camminato ininterrottamente per quattro ore e mezzo ed era venuto a morire in pianura, a meno di un chilometro da casa.
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