di Joseph Moricca
Cronistoria.
Sul finire degli anni 60 del secolo scorso nacque l’idea di realizzare un invaso artificiale in Aspromonte. La previsione di una crescita considerevole della popolazione lungo la fascia costiera (che in realtà si rivelò errata) spinse i politici di allora a muovere i primi passi per la sua realizzazione i cui lavori iniziarono soltanto nel 1986. Il torrentello Menta, di cui nessuno in città aveva mai sentito parlare, improvvisamente balzò agli onori della cronaca essendo stato scelto per ospitare nel proprio bacino imbrifero il futuro lago artificiale. La scelta fu giustificata non tanto dalla “portata” del torrente (piuttosto esigua) quanto dalla posizione geografica, dalla notevole ampiezza e impermeabilità del suo bacino e dalla particolare natura e morfologia delle rocce in prossimità del futuro sbarramento (spalle e piano d’imposta).
Il progetto originario prevedeva inoltre di arricchire il “serbatoio” del Menta prelevando acqua forzatamente da altri due piccoli invasi da realizzare sui torrenti Ferraina ed Amendolea, situati entrambi a circa 100 metri più in basso rispetto all’invaso principale.
Notevoli furono le critiche sollevate in quel periodo da associazioni ambientaliste nazionali quali WWF, Legambiente, Lipu e locali come “Gente in Aspromonte”, oltreché da personaggi autorevoli come Fulco Pratesi, Franco Tassi e Antonio Cederna.
La costruzione della diga e delle opere connesse avrebbe comportato infatti lo stravolgimento di una delle aree tra le più rappresentative di flora e fauna aspromontane e la conseguente inevitabile compromissione del suo fragile ecosistema.
La mobilitazione degli ambientalisti produsse un paio di buoni risultati: intanto il ridimensionamento del progetto originario. Fu infatti abbandonata l’idea della costruzione dei due invasi minori (anche perché il loro contributo sarebbe stato di appena 2 milioni di metri cubi a fronte dei 18 già previsti per l’invaso principale) evitando così di devastare tanta altra parte di territorio. In secondo luogo, le proteste ebbero come conseguenza la riqualificazione “attenta” delle aree di cantiere dismesse, tant’è che oggi l’impatto visivo dell’opera è sufficientemente accettabile. Le ferite inferte, almeno in apparenza, appaiono ricucite e il contesto non sembra del tutto compromesso.
Le vicende recenti.
Nel 2015, dopo quasi trent’anni, la diga è stata finalmente ultimata. Il corpo dello sbarramento, alto 90 metri, è costituito da pietrame costipato (rockfill) reso impermeabile dal paramento di monte realizzato in materiale bituminoso. Il lago ha una estensione di circa 14 km quadrati con un potenziale volume d’acqua disponibile pari a 18 milioni di metri cubi.
Quest’opera è costata finora alla comunità qualcosa come 230 milioni di euro.
Il lago, oggi, ha buone probabilità di diventare attrattivo per aspetti turistico-sportivi. Se fossero regolamentate e promosse vi si potrebbero praticare pesca e canoa, oltreché sci di fondo lungo la strada perimetrale spesso ricoperta in inverno da abbondanti nevicate. Già da tempo, la zona è frequentata dagli amanti del trekking che, oltre a percorrere l’anello che circonda il lago, raggiungono più a valle le affascinanti e notorie cascate Maesano le cui acque alimentano il corso della fiumara Amendolea.
Dal 2018 l’acquedotto del Menta è ufficialmente in attività ma dei mille e più litri al secondo che dovrebbe fornire a regime, ad essere ottimisti, oggi, siamo al 60% della portata di progetto, senza tenere conto delle ancora numerose perdite lungo il tragitto causate dalla vetustà di gran parte delle condotte secondarie e dall’annosa questione degli allacci abusivi.
Non è stata attivata ancora la centrale idroelettrica prevista in località San Salvatore che produrrebbe circa 14 megawatt di potenza (il fabbisogno di energia elettrica per circa 15.000 famiglie).
È invece entrato in funzione il nuovo ed importante impianto di potabilizzazione realizzato per garantire il più alto livello possibile di purezza dell’acqua sotto il profilo chimico-batteriologico
Utile, infine la presenza di personale a sorveglianza dell’infrastruttura. I custodi, turnandosi, garantiscono un presidio h24 della diga, più volte rivelatosi vitale nel soccorrere escursionisti e turisti in difficoltà.
Conclusioni.
Reggio ha un’atavica sete d’acqua. Ciò in parte ha giustificato la realizzazione di questa controversa ed imponente opera idraulica. Va detto però che il motivo della storica carenza d’acqua è da ricercare non solo nella citata condizione di degrado della rete di distribuzione ma anche nei tanti errori commessi in passato tra cui soprattutto la scellerata cementificazione della fascia costiera senza risparmiare gli alvei e gli argini delle fiumare, fonte di approvvigionamento primaria delle falde acquifere presenti nel sottosuolo del comprensorio reggino. In breve tempo, senza il dovuto apporto, il livello di falda è sceso ovunque sotto quello della linea di costa consentendo all’acqua salmastra di infiltrarsi ed inquinare in modo irreversibile i serbatoi naturali di acqua sotterranea.
Ma oramai il danno è fatto e dunque questa diga, per i cittadini di Reggio e zone limitrofe, rappresenta oggi l’unica speranza di poter utilizzare in sicurezza l’acqua che sgorga dai rubinetti di casa. Tra l’altro, gradualmente si stanno dismettendo i pozzi e i dissalatori con un notevole risparmio in termini di energia e di risorse.
Sembra che la società che gestisce l’impianto (Sorical) si stia impegnando seriamente per portare a regime il funzionamento nella sua interezza.
Rimane essenziale che la cittadinanza vigili e faccia sentire più spesso la propria voce denunciando eventuali mancanze e disservizi. Siamo noi fruitori ad avere il diritto di conoscere costantemente lo stato dell’arte dato che paghiamo a caro prezzo un bene che lo Stato deve garantire ad ogni cittadino.
Ricordiamoci che questa risorsa è l’ennesima che l’Aspromonte rende disponibile per noi cittadini inurbati.
Si ringrazia per le notizie Stefano Sofi