Una immagine (foto 1) del ponte di Avrèu (fiumara Bonamico – San Luca) pubblicata sul profilo dell’amico Domenico Giorgi mi dà lo spunto per alcune note. Il ponte crollò per l’alluvione del 1972/73 (foto 2), come scrive Fortunato Nocera ne “La valle del Bonamico”, tant’è che quello che ne rimane è un mozzicone della spalletta in riva destra (foto 3). Da tempo i pastori che frequentavano l’alta valle del Bonamico (il ponte non si trovava sotto Pietra Castello come scrive Domenico Giorgi ma ben più a monte) si erano adattati a traversare il poco docile torrente con passerelle di fortuna (foto 4). Ma ormai non c’è più nessuno e l’unico presidio, seppur sporadico, è offerto da Filippo Pelle detto Palea (foto 5) che cura e tiene in vita quello che da tempo immemore era l’ovile della sua famiglia, in uno dei luoghi ora tra più remoti della vallata ma posto lungo l’antico percorso che da San Luca raggiungeva il santuario della Madonna della Montagna a Polsi. E in ultimo l’etimologia Avrèu: F. Nocera lo riporta come Judeu e quindi come Ebreo. Che cosa ci facessero gli ebrei in quel luogo non mi è dato sapere ma, si sa, l’Aspromonte ha visto tanti popoli …
Sono entrato più volte nella valle del torrente Butramo, detta Infernale dai locali. Sia per esplorazioni che alcune volte hanno avuto epiloghi rocamboleschi, sia in altre occasioni accompagnato da guide esperte come Antonio Stranges. Nel transitare dal passo di Infernale mi colpì una piccola croce di ferro fissata su di una roccia: questa è la sua storia.
Nel secondo dopoguerra l’imprenditore Giuseppe Primerano di Bovalino aveva creato a San Luca un importante polo industriale del legno per l’utilizzo del patrimonio boschivo delle montagne. Queste erano attraversate da chilometri di teleferiche per il trasporto dei tronchi i cui segni sono ancora leggibili sul territorio, nelle carte e nelle foto aeree dell’epoca. Nella fase di maggior sviluppo impiegò oltre 400 persone con alcune maestranze che provenivano da altre regioni (Trentino, Piemonte, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Basilicata) e perfino dall’estero (Yugoslavia).
Dal 16 al 18 ottobre del 1951 si scatenò una tra le più gravi alluvioni che colpì il versante meridionale della Calabria: strariparono corsi d’acqua, crollarono ponti, paesi rimasero isolati e si ebbero circa 70 vittime.
La vallata del Bonamico fu una tra le più danneggiate e la frana di Fernìa, ben visibile dal paese, è ancora un segno evidente dopo quasi 70 anni.
In quei giorni il giovane boscaiolo friulano Enrico Vuerich fu sorpreso dal maltempo nei boschi di Ferraina e volle spostarsi verso la zona di Cano, forse ritenuta più sicura e dalla quale poter raggiungere il paese. Sconsigliato vivamente dai compagni si avviò egualmente ma non superò la valle Infernale dove il torrente Butramo lo travolse. La furia delle acque fu tale che il corpo non venne più trovato.
A ricordo del tragico evento rimane una piccola croce al passo di Infernale, nel punto in cui si guada il torrente e dove si ritiene che la morte lo colse. Un altro tassello di questa storia è una targa in marmo posta nella chiesetta del cimitero di San Luca.
Allo sfortunato giovane rivolgiamo il saluto friulano “mandi” che si traduce “nelle mani di Dio”.
P.s.: Vuerich non fu l’unica vittima nella vallata del Bonamico. Anche un pastore sanluchese, Sebastiano Giorgi, morì in quei giorni e forse i toponimi serro e vallone di Marimorti, a est di Ferraina, li ricorda.
Ringrazio Fortunato Nocera per alcune delle notizie fornite.
Alla fine degli anni ’80 iniziai, con la cooperativa Nuove Frontiere, a organizzare gite ed escursioni in Aspromonte. Una delle mete che proponevamo alle scolaresche era Pentidattilo. In quel borgo, abbandonato da alcuni anni, erano venuti ad abitare dei giovani con l’intento di rivitalizzarlo. Volli coinvolgerli nelle mie attività e per rendere più intrigante la visita a Pentidattilo chiesi loro di sceneggiare a mo’ di cantastorie la strage degli Alberti. Da artisti quali erano realizzarono dei coloratissimi pannelli che usarono, nella platea en plein air del castello, per rappresentare la tragica vicenda: fu un successo!
La collaborazione divenne amicizia e conobbi Alex Buchberger, pittore austriaco che trasformò una vecchia casa in galleria d’arte; Rossella Aquilanti che da Viterbo si era licenziata dalle Poste (all’epoca il posto alle Poste era la sicurezza economica garantita) per acquistare casa a Pentidattilo e vivere dei lavori di tessitura ed anche altri personaggi originali. Seguirono anni di iniziative, eventi che resero sempre più vivo il paese. La loro presenza, purtroppo, non fu ben vista dalla ndrangheta che incendiò alcune case costringendo Alex e gli altri pochi abitanti ad andare via. Il fuoco però non distrusse la speranza e la tenacia di Rossella che dopo oltre 30 anni è tornata a vivere nella sua casa di Pentidattilo: coltiva l’orto, offre ospitalità semplice, pietanze genuine all’ombra di una pergola più sontuosa di un baldacchino regale, alleva un piccolo gregge di capre con l’aiuto di Maka, giovane maliano. Unici abitanti del paese. Tutto con una serenità disarmante.
Percorro l’Aspromonte da quasi 50 anni ma in questa montagna, antropizzata e ormai esplorata sin nei suoi recessi più remoti esistono ancora delle macchie bianche, quelle che gli antichi cartografi indicavano con la scritta “hic sunt leones” per individuare i pericoli sconosciuti nei quali si poteva incorrere.
Uno di questi luoghi, forse l’ultimo, è la frana Colella (la più grande d’Europa) in agro di Roccaforte del Greco, ammantata di leggende sulla capacità di inghiottire uomini e animali.
Ogni volta che mi affacciavo sull’orlo di questa immane voragine, di questo enorme imbuto mi chiedevo come potesse essere il suo fondo dove continuamente si scaricano quantità enormi di materiale lapideo. Discenderla e poi uscirne indenni dal corso d’acqua che affluisce nella fiumara Amendolea era impresa pericolosa e comunque possibile solo a chi ha la padronanza delle tecniche di discesa con corda (anche di cascate). L’esplorazione è stata realizzata col supporto tecnico di Demy D’Arrigo (guida professionale di torrentismo) e Claudio Bova di Aspromonte Wild insieme al colonnello Giuseppe Battaglia, già comandante provinciale dei Carabinieri.
Ci siamo addentrati in un territorio ignoto dove credo nessuno sia mai entrato. Abbiamo visto piccoli corsi d’acqua lattiginosi e totale assenza di arbusti o erba per l’impossibilità delle piante di trovare spazi di attecchimento e crescita. È stata un’esplorazione rischiosa (come tutte le prime) e anche per questo sconsiglio chiunque dal rifarlo. Tuttavia è stato esaltante anche per me che credo di conoscere gran parte dell’Aspromonte: siamo entrati nel caos primordiale! Senza lasciare tracce per preservare al massimo l’unicità del geosito e la sua incontaminata energia che alimenta per vie misteriose e sconosciute il mito della grande montagna aspromontana.