‘A cugnata

No, non è la sorella del coniuge. Per i non calabresi spieghiamo che cugnata, da cugno=cuneo, è l’accetta, compagna inseparabile del pastore. Oltre all’ovvio uso come strumento da taglio le foto ne documentano altri come bastone o impensabili come sgabello.
O usata come martello, dalla parte opposta della lama, per percuotere “cuzzuliari” (da cozzo, retro dell’accetta) i campani delle capre e accordarli armonicamente.
Un’immagine di Francesco De Cristo del 1932 ritrae un pastore d’Aspromonte con un’accetta dal manico più lungo rispetto a quello oggi in uso in questa montagna. Di analoghe dimensioni, detta gaccia, si usa oggi nelle montagne di Verbicaro dove la vedete impugnata da ‘zi Felice Lucchese e dall’amico Francesco Bevilacqua. Il lungo manico facilita il taglio di rami dagli alberi per foraggiare con le fronde gli animali ma è anche un’arma micidiale.
Necessarie per mantenerla affilata sono le mole.
Infine, la progenitrice di tutte le accette attuali: l’ascia preistorica in bronzo come quella da me trovata in Aspromonte circa due anni fa. Ma ancor più antiche sono le asce in pietra.
Per esempio, l’ascia del Paleolitico inferiore trovata nel 1925 a Pietra Salva (Delianuova) dal prof. Francescantonio Leuzzi. Nella foto scattata dal Leuzzi quasi un secolo fa si nota la mancanza di copertura arborea tale da rendere imponente il masso, nascosto invece ora da un fitto bosco.
O ancora le asce di pietra del Neolitico che furono trovate a Roccaforte del Greco, Bova e Roghudi nei primi anni del Novecento ed esposte al Museo Etnografico Pigorini di Roma.
Chiamate cugni i lampu secondo la tradizione popolare che riteneva fossero oggetti generati dai fulmini, questi fulmini pietrificati venivano spesso conservati come amuleti, perché si credeva che portassero fortuna o protezione.
Concludo con un gustoso episodio che ha come protagonista l’accetta. È tratto da Mio nonno Rocco di Rocco Palamara. Racconta di uno scontro tra casalinoviti
“La cosa li spiazzò anche perché l’uomo che si trovarono davanti era completamente nudo e con una grossa scure sottomano. Nella fretta del momento mio nonno aveva optato per l’ascia anziché le mutande e pur tuttavia, propenso più alla pace che alla guerra, domandò loro sinceramente:
– Dite a me, quanti litri volete?
– C’è lo deve dare tuo figlio il vino! – gli urlo u ‘Nnicu lanciandosi in avanti per introdursi dentro casa.
Allora mio nonno, passando alla seconda opzione, alzò la scure e gli assestò un colpo talmente micidiale da spaccarlo in due se non fosse che l’altro, nel suo slancio in avanti, superò la lama e la botta la prese solo di manico.”

Fonti: Bollettino di Paletnologia italiana anno 1933; Rovine di Calabria di F. Nucera

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