Apostrofì ovvero ti restituisco il favore
Febbraio del 1995, escursione sul versante sinistro della fiumara Amendolea, località Mesari (Bova). Fotografo degli uomini in fila che zappano una vigna in un terreno mirabilmente terrazzato. Chiedo cosa fanno e mi dicono “apostrofì”. Conosco così un termine greco composto dal prefisso “apo” che indica contro e “strofè” derivato dal verbo “strefo”, che significa girare, tornare. Analogamente il segno ortografico dell’apostrofo ha la forma di uno spirito aspro dei Greci rovesciato, al contrario.
Apostrofì, detto anche stremma, nel mondo contadino acquista il significato di “restituzione”: in certi periodi dell’anno, del raccolto, per esempio, o del dissodare i campi, particolarmente gravosi e da svolgere in tempi rapidi, o dove è indispensabile il lavoro manuale per l’impossibilità di usare mezzi meccanici si sviluppa una forma di collaborazione che prevede la restituzione della prestazione: essendo il problema comune, chi per primo presta il suo aiuto sa che a breve si vedrà ricambiato il favore. Per questo si chiama apostrofí, restituzione. A carico del padrone del terreno è il pranzo per i lavoratori.
Negli anni ho continuato a fotografare il podere di Antonino Trapani detto Schiriddi che già nel 1995 avevo diviso il vigneto ai tre figli. La sequenza temporale delle immagini racconta purtroppo il suo abbandono. L’apostrofì non è bastato.
Postilla storica.
Anzitutto l’etimologia di Mesari che potrebbe derivare dal greco mèsa = in mezzo, divisione. Infatti, questa località, essendo terra di confine tra Bova e Amendolea, è stata sempre contesa tra feudatari sin dal 1084. All’inizio del XVIII secolo riappare in una causa giudiziaria tra il conte di Bova e il barone di Amendolea e nella descrizione dei confini viene menzionata la “Portella di Mesari”. Il fondo apparteneva alla nobile famiglia Amodei, poi nel 1954 passò alla famiglia Romeo che lo rivendette ai due fratelli Domenico e Antonino Trapani (Miki Lu bruttu e Ninu schiriddi), attuali proprietari.
Ancora oggi possiamo dire che è diviso in una parte alta chiamata l’orto e in una parte bassa chiamata la podagna. Sia nell’una che nell’altra è presente una sorgente, con relativa vasca per irrigazione. La coltura principale era il granturco, seguito da fagioli e ortaggi vari. Essendo in montagna tutti i prodotti erano posterini (tardivi) pertanto la maturazione iniziava a fine estate-inizio autunno quando ormai nelle marine la produzione era terminata. Il granturco forniva farina per la polenta, mangime per gli animali e “scarfoghj”, le foglie della pannocchia per imbottitura dei materassi.
Ringrazio per le informazioni Mimmo Cuppari, Salvino Nucera e Vincenzo Mastrovalerio. Alcune notizie sono tratte da “Le origini di Bova e del suo nome” di A. Catanea–Alati 1969
Per approfondimenti sui toponimi dell’area consultate la mappa
https://www.laltroaspromonte.it/cartografia/mappe/#toponimi-dellarea-grecanica
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