L’altro Aspromonte di… Roberto Palaia

Sin da bambino, ho sentito il richiamo del cielo, e col tempo, la passione per l’astronomia ha incontrato il mio amore per la natura, trasformandosi in astrofotografia. Questa forma d’arte consiste nel catturare i soggetti cosmici – galassie, nebulose e stelle lontane – raccontati attraverso la luce. Mentre nella fotografia tradizionale basta un singolo scatto, nell’astrofotografia ogni esposizione può durare ore (spesso suddivisi in molte notti), raccogliendo pazientemente fotoni che hanno viaggiato per centinaia di milioni di anni luce.
L’Aspromonte è diventato il mio osservatorio a cielo aperto, un luogo dove la terra si protende verso l’infinito e ogni notte si riempie di storie antiche e segreti cosmici. Qui, tra le sue valli selvagge e i boschi intricati, le stelle sembrano più vicine, come antichi custodi silenziosi. Le cime aspre emergono contro il cielo e la loro bellezza parla con voce muta di un tempo remoto. In queste notti solitarie, la montagna sembra respirare insieme alle stelle, avvolta in un maestoso silenzio. Durante le osservazioni notturne, talvolta, la presenza curiosa di una volpe che mi osserva da lontano, come un guardiano silenzioso della notte.

Il telescopio, fissato su una montatura equatoriale motorizzata e collegato a una fotocamera astronomica raffreddata a -10° C, (la bassa temperatura aiuta a ridurre il rumore termico generato dai pixel attivi che si riscaldano durante l’acquisizione e che si trasformerebbe in segnale indesiderato), segue con precisione l’apparente movimento delle stelle dovuto alla rotazione terrestre. Questa precisione è essenziale: senza un inseguimento accurato, le stelle apparirebbero come scie luminose.
Ogni immagine finale è il frutto di un lungo processo: le esposizioni prolungate, vengono elaborate tramite software specifici per eliminare disturbi, migliorare i dettagli e bilanciare i colori. Inoltre, è possibile acquisire dati in LRGB (luminanza, rosso, verde e blu), una combinazione che riproduce i colori in modo simile alla visione umana. Ogni fase del lavoro richiede attenzione e competenza: dalla calibrazione delle immagini alla combinazione dei diversi scatti, fino all’estrazione dei dettagli nascosti nel profondo della luce cosmica.
Questo tipo di fotografia richiede notevole pazienza, poiché si utilizzano strumenti di altissima precisione che richiedono una preparazione accurata. È fondamentale inserire le coordinate esatte del luogo di ripresa e l’orario preciso, stazionare il telescopio, e ambientarlo affinché la sua temperatura si allinei a quella esterna, eliminando le distorsioni termiche.

Tra dei miei scatti più significativi vi sono la Nebulosa Proboscide di Elefante nella costellazione di Cefeo e la Nebulosa di Orione, catturate sotto il meraviglioso cielo d’Aspromonte. Sono il risultato di 11 ore di esposizione per la prima e circa 60 ore per la seconda. Queste fotografie, pubblicate anche dalla NASA, raccontano una storia millenaria, un frammento di universo che ha viaggiato nel tempo per giungere fino a noi.
Così, l’astrofotografia diventa un viaggio tra tecnica e arte, dove ogni scatto, ogni dato e ogni ora trascorsa sotto il cielo si uniscono per raccontare l’eternità racchiusa nelle stelle ed il legame profondo che ci unisce all’universo.

 

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