Serro Castello: conquistatori dell’inutile
È colpa dell’amico Pietro Garofalo se mi ha coinvolto in una sua curiosità: percorrere il Serro Castello. In realtà non ci è voluto molto. L’area, a sud dei Campi di Bova, è tra quelle meno percorse dagli escursionisti. Il toponimo, ricorrente in Aspromonte, è indicativo di una emergenza rocciosa e già l’esame della cartografia evidenzia un affilato crinale che si protende come un trampolino puntando alla confluenza degli impluvi Marte e Cipore con la fiumara Palizzi.
Imbocchiamo una sterrata di certo realizzata dalla forestale qualche decennio fa per impiantare alcuni rimboschimenti dei quali restano sparuti boschetti di pino e di robinia. Come era prevedibile dopo pochi tornanti il tracciato è corroso dalle frane ma le piste delle vacche, che aprono un varco nella fitta vegetazione, ci conducono al Serro Castello. Il percorso è disagevole, tormentato. Dove si fermano le vacche proseguono le capre e infine i cinghiali e noi ne seguiamo le tracce. O cerchiamo di tenerci sulla cresta rocciosa dove più radi sono rovi e spolassi (Spartium infesta). Siamo consapevoli che non vi è una meta. I sentieri, le antiche vie sono scomparsi, fagocitati da una natura tornata padrona degli spazi che l’uomo gli aveva tolto. Più volte stiamo per rinunciare ma, ad ogni pinnacolo che raggiungiamo, ci facciamo attrarre dal successivo.
Nel cielo una coppia di rapaci sale sempre più in alto grazie a una termica mentre noi scendiamo sempre più giù perdendo quota e ignorando scientemente che la salita, il ritorno al punto di partenza sarà durissimo. Sino all’ultimo puntone, il più prossimo al fondo della valle comunque irraggiungibile. In una scalata al contrario, dove si scende per conquistare la meta.
Conquistatori dell’inutile, grati alla montagna che ci consente la nobiltà di gesti gratuiti e appaganti come misurarsi con sé stessi e con la grandezza della natura.
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