Zanotti Bianco, l’Aspromonte, la memoria
Nel 2023 sono stati ricordati i sessant’anni dalla morte di Umberto Zanotti Bianco (1889-1963), eccezionale figura di meridionalista, e soprattutto infaticabile pioniere del riscatto culturale e sociale dell’Aspromonte (anche da temprato “camminatore”, non solo sulle carte).
Scoprì l’Aspromonte giovanissimo, nello slancio di quello che fu un gruppo di cattolici “modernisti” giunti a Reggio per il soccorso alle vittime del terremoto del 1908 (lui che era nato a Creta da un padre ambasciatore piemontese e da madre inglese); pubblicò già nel 1910 (a ventun anni !) insieme a Giovanni Malvezzi una minuziosa indagine sullo stato dei paesi dell’Aspromonte Occidentale (su 36 dei 48 comuni della fascia tirrenica dell’Aspromonte); lo stesso anno, fondata assieme ad altri intellettuali l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (l’ANIMI) non lo lasciò più, continuando fino agli anni ‘60 a seguire le tante realtà (asili, scuole, biblioteche, ma anche centri diagnostici, antimalarici, cooperative tessili, ecc.) nate dal 1913 in poi, con periodiche brevi visite a Reggio, presso i locali del Cipresseto, la sua “casa” reggina, ove occupava un piccolo appartamento, vi teneva un pianoforte e custodiva tanti ricordi dei suoi viaggi.
Zanotti Bianco, come è noto, è stato protagonista di tante altre cose splendide e lontanissime dall’Aspromonte: animatore di missioni di soccorso in occasione della carestia del 1921 in Russia nelle regioni del Volga, dove si stima che morirono 2.000.00 di persone, fondatore di strutture di accoglienza in Italia per i profughi armeni in fuga dopo il genocidio turco del 1916, grande archeologo (autodidatta) amico e collega di Paolo Orsi, impegnato tra il 1934 ed il 1940 in campagne di scavi (sua la scoperta del santuario di Hera Argiva nelle vicinanze di Paestum), antifascista tenace e discreto, costantemente “osservato” dalla polizia fascista, ma protetto fino ai limiti del possibile dalla principessa Maria José di Savoia, poi nel 1941 anche in carcere, poi presidente della Croce Rossa dal 1944 al 1949, senatore a vita, nominato da Luigi Einaudi nel 1952, fondatore nel 1954 di Italia Nostra. E l’elenco è di certo incompleto.
Un gigante del ‘900 insomma, come in altri casi forse più “commemorato” che riletto e meditato sebbene diverse pubblicazioni negli ultimi anni, a partire dagli scritti di Pasquale Amato, ne abbiano meritoriamente e pregevolmente tratteggiato la poliedrica figura a livello sia nazionale, che locale (Grasso, Zoppi, Venniro, Focà, Vadalà, ecc.).
Non c’è da stupirsi molto. La miseria di quel pane nero africoto (di farina di cicerchia, lenticchie e orzo) che spediva ai benefattori dell’alta società negli anni ‘30 alla ricerca di donazioni per sostenere scuole rurali e biblioteche popolari non esiste più, le scuole elementari e agli asili che l’associazione aveva allestito anche a Reggio e in tanti paesini della Calabria e della Basilicata per promuovere l’alfabetizzazione e l’educazione popolare, sono un ricordo del passato.
Resta in Aspromonte, forse l’unico segno tangibile del suo passaggio ancora vivo e ben conservato, quel piccolo gioiello di struttura montana, a disposizione soprattutto di parrocchie e gruppi scout, che è la Colonia Franchetti, incastonata nei boschi di Mannoli, intitolata al primo presidente dell’ANIMI, Leopoldo Franchetti.
Non sono mancate poi certo in Calabria le intitolazioni di vie, piazze, scuole e biblioteche, ma si tratta di quella memoria facile e spesso sterile, che con la sua passione civile avrebbe oggi sicuramente evitato.
Testo di Francesco Tripodi
Immagini dall’Archivio ANIMI e dalla rete
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